Fa strano aprire Facebook e trovare una marea di profili con la foto della bandiera francese. Siamo tutti convolti. Le vittime siamo noi, perché è il nostro mondo – nel senso culturale, identitario e geografico – a essere stato attaccato da un pezzo di quel mondo che è oltre la nostra fortezza del benessere. Ieri sono andato a Sidone a trovare un mio amico siriano di nome Sami. Mentre parlavamo è entrato in Facebook e ho subito notato la sua foto profilo con i colori della bandiera francese. “Perché l’hai messa?”, gli ho chiesto incuriosito. “Per dimostrare la mia solidarietà”, ha risposto.
Sami è scappato dalla Siria da quattro anni. Come tanti ragazzi, non può più farvi ritorno perché non ha risposto alla chiamata al servizio militare “non volevo uccidere” si è giustificato, quasi pensasse che ne avesse bisogno. “Mi chiedo però perché nessuno mette la foto della bandiera della Siria come immagine del profilo. I russi, Bashar Al-Assad e la coalizione internazionale ci bombardano dal cielo mentre a terra è un putiferio. Non siamo esseri umani? Non meritiamo riconoscimento per il nostro dolore?”, domanda sconsolato. Solo tre giorni fa c’è stato un attentato a Beirut già passato in secondo piano.
I cronisti occidentali e arabi si sono recati in fretta e furia a Parigi. In Siria ieri sono morte quasi cento persone. In Yemen neanche si sa il numero delle vittime. Però tutto è diventato consueto, abituale. “Quello che è accaduto a Parigi lo pagheremo tutti. Chiuderanno le frontiere a chi scappa dalla guerra, daranno la colpa ai musulmani e noi dovremo condannare qualcosa che alcune persone hanno fatto” dice convinto Sami e insiste “ma quando una bomba di chissà quale Stato casca sulle nostre teste, silenzio”.
Il fondamentalismo si nutre di questo: del malessere di una parte del mondo che paga quotidianamente un alto numero di vite che non raggiungono lo status di vittime. Non proviamo empatia per loro. Hanno una identità lontana dalla nostra. Allora arriva qualcuno che dice “Avete visto, a loro non interessa se morite a causa delle loro scelte politiche. Odiano la vostra religione. Venite con noi”, così alcuni giovani abbracciano queste idee radicali. Dall’altra parte, all’interno della nostra fortezza, c’è chi per fini politici usa questo discorso al contrario, dicendo “I musulmani ci ammazzeranno” e annunciano la catastrofe. E’ un circolo vizioso che si autoalimenta.
Chi parla di dialogo viene considerato un buonista, uno che attenta alla nostra sicurezza. C’è chi augura che si leggano i libri di Oriana Fallaci perché hanno predetto la genesi e la conclusione di questo scontro. Invece osservatori attenti, che hanno studiato l’Islam e l’arabo per decenni, come padre Paolo Dall’Oglio, vengono accantonati e i loro libri rimangono per una élite.
Quando tutti sentiremo una reale empatia per l’altro, chiunque esso sia, non esisterà più il fondamentalismo né la guerra. Probabilmente è chiedere troppo, forse bisogna rassegnarsi a questa natura umana. Quindi meglio abituarsi a convivere con la condizione di incertezza.