“Les enfants qui s’aiment s’embrassent debout
Contre les portes de la nuit
Et les passants qui passent les désignent du doigt”
“Les enfants qui s’aiment” di Jacques Prevért era la poesia più gettonata che girava tra i banchi della scuola. Scritta con la biro sulla pagina del diario. L’avevo imparata a memoria. Pronta come dedica alla fidanzatina di allora.
“… Mais les enfants qui s’aiment
Ne sont là pour personne
Et c’est seulement leur ombre
Qui tremble dans la nuit…”
La professoressa di francese ci raccontava di Parigi. L’avremmo poi visitata nella primavera dell’ultimo anno di liceo. C’era un libro che ci faceva leggere. Era a fumetti. Serviva per apprendere meglio la lingua: La professoressa e les enfants.
Lei entrava e salutava.
“Bonjour les enfants”
“Bonjour Madame” rispondevano tutti in coro.
“François Durand?”
“Je suis là”. Rispondeva il giovane.
“Madaleine Contì”
Madaleine non rispondeva, il suo banco era vuoto. Allora interveniva François: “Elle n’est pas là, elle est malade”. Nella pagina successiva c’erano les enfants che facevano un pic nic sull’erba dans le jardin. E così proseguiva la lettura del libro. “Paris, la capital de la France. Parigi è la città dell’amore eterno”, ci diceva sempre la professoressa: “Con mio marito amo passeggiare sur la Seine, fare flanella tra i vicoli di Montmartre, passare il tempo al musée du Louvre, ammirare per ore la cattedrale di Notre Dame”.
“Le giornate scorrono lente quando sono a Paris. E’ una città magica”. Ripeteva con lo sguardo incantato e rivolto verso la finestra. Sono passati vent’anni da allora. L’ultima volta che sono atterrato a Parigi è stato nel settembre del 2014. Il mio verrà bollato come un percorso scontato, ma dopo averla visitata un po’ di volte, quando arrivo a Parigi, cerco di andare prima a Montmartre. Ne sento la necessità. E’ un luogo incantato. Tappa fissa dal venditore di frutta sulla salita acciottolata. I mandarini sono freschi e dolcissimi. Poi un salto al giardino dove c’è “Le mur des Je T’Aime”. Lì i “ti amo” sono scritti in tutte le lingue e dialetti del mondo. Quindi più su fino alla butte, la collina dove c’è la Basilica del Sacro Cuore.
Nel pomeriggio passeggiata ai Champs Élysées e poi tappa fissa alla Torre Eiffel. Mia figlia corre che non è mai stanca. Non le sembra vero che i marciapiedi siano così ampi. E’ un attimo perderla.
“Babbo, Ratatouille!” Mi dice mentre il sole cala e da lontano si vede sbucare la punta della Torre Eiffel illuminata. Ratatouille, Midnight in Paris, Moulin Rouge, Ultimo Tango a Parigi, ne hanno girati di film ambientati a Parigi.
La città eternamente romantica è stata colpita al cuore una sera di novembre. Quando un gruppo di terroristi ha cominciato a sparare all’impazzata verso gli “enfants qui s’aiment” mentre ignari stavano cenando, bevendo una birra al pub, ascoltando musica ad un concerto abbracciati, accalcati in mezzo alla folla. Nel momento più spensierato, mentre avevano appena iniziato a ballare cantando sulle note del brano che stava suonando la band quella sera. Poco dopo gli spari e quasi in contemporanea sul Boulevard Voltaire, dentro il teatro Bataclan, fuori dallo stadio del calcio mentre si disputa l’amichevole Francia-Germania. La magia di quella serata si è spezzata improvvisamente. Le immagini arrivano in diretta, caricate sui social network da qualche temerario testimone. Gli “enfants qui s’aiment” hanno cominciato a fuggire, terrorizzati, tra le strade caratteristiche e poco prima accoglienti di Parigi diventate poligoni di tiro. Alcuni non ce l’hanno fatta. C’è chi li ha ripresi con il cellulare morti sparati, riversi a terra davanti all’ingresso del Bataclan.
Sparsi per la città, armati di kalashnikov, ci sono “i ragazzi che non amano” e che al grido di “Allah è grande” giurano di uccidere per una religione. Ma è solo una menzogna che trova radici in un fanatismo sanguinario. Mia figlia corre su per la salitina, calpesta l’asfalto di quelle strade dove giacciono ora i corpi di chi non è riuscito a sfuggire alla mattanza. Lei salta e ride non sa mica di quello che accadrà l’anno dopo. E’ felice di essere a Parigi. Come diceva la mia professoressa, le giornate scorrono lente a Paris. Ma questa volta devono essere state interminabili per “les enfants qui s’aiment”.