Gli attacchi di Parigi si abbattono sulla politica americana e cambiano molte cose. Barack Obama, dal G20 in Turchia, spiega che la politica Usa sui rifugiati – che dovrebbe portare all’accoglienza di 10mila siriani – “non cambia”. Il presidente è però oggetto di attacchi sempre più decisi da parte dei repubblicani; alcuni governatori dicono di voler bloccare i flussi migratori nei loro Stati. E le stesse primarie democratiche sembrano aver subito una svolta inattesa dopo i fatti di venerdì sera.
Venticinque governatori repubblicani hanno annunciato di non essere disponibili all’accoglienza dei rifugiati. Tra questi ci sono i governatori del Texas, del Massachusetts, dell’Illinois, che giustificano la loro decisione con l’impossibilità di verificare l’autenticità dei documenti che i rifugiati portano con loro. “E poi vogliamo conoscere meglio i piani futuri del governo sull’accoglienza”, ha spiegato il governatore del Massachusetts, Charlie Baker. L’amministrazione Obama sta valutando se gli Stati hanno il potere legale di respingere la quota di migranti decisa dal governo federale; intanto la polemica si allarga e sembra coinvolgere anche i governatori democratici. “Le procedure di verifica degli arrivi devono essere il più rigorose possibili”, ha detto la democratica del New Hampshire, Maggie Hassan.
Oltre ai governatori, nella polemica sono stati coinvolti anche i candidati repubblicani alla presidenza. Il più acceso nell’opposizione ai piani dell’amministrazione è Ted Cruz, secondo cui “nessuno sano di mente può pensare di mettersi in casa migliaia di rifugiati siriani, di cui non possiamo determinare chi sia o non sia un terrorista”. Un’altra affermazione di Cruz,che ha spiegato che la priorità degli Stati Uniti dovrebbe essere quella di tutelare i cristiani, è stata seccamente respinta da Barack Obama. “Non abbiamo un test religioso che misuri la nostra compassione. Sarebbe anti-americano”, ha detto il presidente.
Altro candidato particolarmente presente sul tema dei rifugiati è Marco Rubio. “Qui c’è un problema –ha detto Rubio -. Tu permetti di entrare a 10 mila persone. E 9.999 sono innocenti e oppresse. Ma una è un combattente dell’Isis. Che cosa succede se ce n’è uno solo sbagliato?”. Rubio è tra l’altro in queste settimane molto attivo, insieme a Jeb Bush, nel chiedere una politica sull’immigrazione preceduta dal rafforzamento delle misure di sicurezza ai confini. Soltanto la settimana scorsa una corte di appello di New Orleans ha bloccato la decisione di Obama di dare status legale a circa 5 milioni di immigrati. Le polemiche sui rifugiati si intrecciano dunque inevitabilmente a quelle sull’immigrazione.
La tragedia di Parigi ha però avuto sviluppi inattesi all’interno dello stesso campo repubblicano. Sino a qualche giorno fa, la stella di Donald Trump sembrava destinata a un’inevitabile caduta. Il tycoon aveva offerto una pessima prova durante l’ultimo dibattito televisivo; era apparso spento, incapace di articolare risposte plausibili ai problemi complessi della sicurezza, dell’economia, della difesa nazionale. Il massacro di venerdì ridà slancio a Trump, che tra tutti i candidati repubblicani è quello che sinora ha più battuto sul tema del rifiuto degli immigrati. Dopo avere, a inizio campagna, sostenuto la necessità di un muro tra Stati Uniti e Messico, Trump ha nelle ultime ore riacceso la sua retorica, spiegando che è necessario “chiudere le moschee più radicalizzate” nell’odio verso l’Occidente.
Infine, i democratici. Anche il campo progressista è scosso e travolto dagli avvenimenti francesi. Tutti i tre candidati si sono detti favorevoli alla decisione di Obama di accogliere i rifugiati siriani. Hillary Clinton e Martin O’Malley annunciano di essere pronti ad aprire le porte a 65 mila siriani; Bernie Sanders spiega di voler dare accoglienza a un numero ancora maggiore, ma non precisa quanti. Dopo le immagini di Parigi, il pendolo del voto democratico potrebbe però decisamente favorire Hillary Clinton. La Clinton, che pure è sotto attacco da parte dei repubblicani per i fatti di Bengasi, è l’unica candidata democratica con esperienze nel campo della sicurezza nazionale. Il fatto di essere più “falco” di Obama sulle questioni internazionali, ciò che finora l’ha sfavorita, potrebbe rivelarsi ora un elemento positivo. Conscia di questo aspetto, la Clinton ha iniziato l’ultimo dibattito televisivo spiegando che gli elettori dovranno “eleggere un commander-in-chief”. Per esporre le sue credenziali, l’ex-First Lady ha spiegato di essersi battuta con Obama per l’eliminazione di Osama bin Laden, e ha aggiunto di voler “sconfiggere” lo Stato Islamico, e non semplicemente “contenerlo”, come ha detto Bernie Sanders.