Le stragi di Parigi e l’allarme terrorismo, soprattutto in Europa, hanno suscitato un grande interrogativo: è opportuno celebrare il Giubileo? Una domanda più che legittima per un evento al quale indubbiamente la commissariata città di Roma non è preparata da un punto di vista strutturale. Si parla di 30 milioni di pellegrini che in meno di un anno, dall’8 dicembre 2015 al 20 novembre 2016, attraverseranno la porta santa della Basilica Vaticana. Una risposta chiara, immediata e rassicurante in merito è arrivata, poche ore dopo le stragi di Parigi, dal Segretario di Stato vaticano, il cardinale Pietro Parolin: “Sul Giubileo non si torna indietro”. Un messaggio diverso avrebbe avuto soltanto l’effetto di amplificare in modo esponenziale il terrore favorendo la strategia messa in atto dall’Isis. Identica decisione fu presa dopo gli attentati alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001 quando fu messo in dubbio lo svolgimento della Giornata mondiale della gioventù che si sarebbe poi celebrata a Toronto nel luglio 2002.
L’Anno Santo straordinario della misericordia voluto fortemente da Papa Francesco però non è un mega spot ecclesiale in salsa mondana. Non è un maquillage per rifare l’immagine della Chiesa di nuovo oscurata dagli scandali di Vatileaks 2. Non è un evento promozionale a livello internazionale come è stato l’Expo. È semplicemente il coronamento delle riforme messe in campo da Bergoglio. Subito dopo l’elezione al pontificato Francesco ha auspicato “una Chiesa povera e per i poveri” e con due Sinodi dei vescovi sulla famiglia ha chiesto di aprire le porte ai divorziati risposati perché “una Chiesa inospitale, così come una famiglia rinchiusa su se stessa, mortifica il Vangelo e inaridisce il mondo. Niente porte blindate nella Chiesa, tutto aperto!”.
Le radici del Giubileo straordinario della misericordia sono però assai antiche. Risalgono, infatti, al Concilio Ecumenico Vaticano II voluto, oltre mezzo secolo fa, da san Giovanni XXIII, canonizzato proprio da Bergoglio, e portato a termine con mano ferma dal beato Paolo VI, elevato agli onori degli altari proprio dal Papa latinoamericano. Francesco, infatti, ha voluto che l’Anno Santo si aprisse proprio l’8 dicembre 2015, esattamente 50 anni dopo la chiusura del Vaticano II, anche se l’inizio del Giubileo sarà anticipato in Africa.
Un segnale, quello di Bergoglio, che le riforme che sta attuando nella Chiesa, con una monumentale opera di pulizia e di trasparenza, affondano a quell’evento straordinario che oltre mezzo secolo fa ha rinnovato nella continuità il cammino ecclesiale in dialogo con la modernità. Una storia che è descritta in modo prezioso e inedito nel volume “Il ‘diario’ conciliare’ di monsignor Pericle Felici” (Libreria editrice vaticana) curato da monsignor Agostino Marchetto. Felici, poi cardinale, annota minuziosamente dal 1958 al 1967 tutto il dietro le quinte, prima del lavoro preparatorio, e poi dello svolgimento del Vaticano II. Tra le note quotidiane non mancano i mal di pancia ecclesiali tra correnti di pensiero assai diverse, l’incertezza di un cammino faticoso e ricco di ostacoli, l’alternarsi di Papi e Segretari di Stato al comando della Chiesa e l’iniziale esigenza di comunicare con il mondo quel grande evento con la nascita in embrioni di quella che negli anni diventerà la Sala Stampa della Santa Sede. Il volume curato da monsignor Marchetto risponde al grande interrogativo, dettato dalla paura, che in molti si fanno oggi sull’opportunità di rimandare il Giubileo. La Chiesa, davanti alle grandi sfide del tempo, non si è mai tirata indietro, ma ha sempre risposto affrontandole, figlia di una altissima scuola diplomatica. Quella scuola che, ieri, ha contribuito a far crollare il Muro di Berlino e che, oggi, ha favorito il disgelo tra gli Stati Uniti e Cuba.