bataclan 675

Silenzio. Finora non ho detto né scritto nulla sui fatti di Parigi. Me lo avete chiesto di continuo (grazie), ma ho preferito deliberatamente il silenzio. Karl Kraus, in quel capolavoro inaudito che è “Gli ultimi giorni dell’umanità”, notava con toni satirico-allucinati come la Prima guerra mondiale non avesse indotto l’umanità a riflettere di più. Al contrario: tutti avevano un’opinione e dovevano esternarla, generando un cicaleccio inutilmente assordante come la coda della deandreiana La domenica delle salme.

Provo quasi invidia per chi, un attimo dopo la strage, aveva già un parere. O addirittura una soluzione. Ovviamente era quasi tutta gente che non sa nulla, ma proprio nulla, di Abu Bakr al-Baghdadi, di sciiti e sunniti, delle mirabili analisi di Zack Beauchamp, della guerra civile in Siria e del suo sconfinamento in Iraq. La stessa rivalutazione (a casaccio) delle capacità “profetiche” di Oriana Fallaci è stata tanto colpevole quanto puerile. E neanche riesco, come lavacro della coscienza, a farmi bastare un avatar col tricolore francese. Beati voi: a me non riesce, non mi viene. So che siete sinceri e senz’altro sbaglio io. Come ha scritto qualcuno – mi pare si chiamassero Gaber e Luporini – mi volto indietro e quel che provo (e trovo) è questo: “Io come uomo posso dire solo ciò che sento/ cioè solo l’immagine del grande smarrimento (..) Di fronte al terrorismo e a chi si uccide c’è solo lo sgomento”. A volte, prima di parlare, occorrerebbe stare zitti (questa arriva tardi, ma arriva).

I due poli. Il dibattito, soprattutto nell’immediato, non pareva contemplare qualcosa che fosse diverso dal pacifismo tout court, che fa tanto sinistra flowerpower peace and love, oppure dal rutto becero guerrafondaio di chi si compiace nel cavalcare gli istinti peggiori dell’uomo. Impossibile una via di mezzo: uno spazio serio di dibattito. Dire (da qui) che Hollande ha sbagliato a dichiarare guerra è molto comodo, ma se la strage fosse accaduta in Italia avrei probabilmente voluto anch’io una reazione analoga. Quantomeno nell’immediato. E non sono certo un guerrafondaio. (Anche per questo, spesso, è meglio stare zitti. Studiare. Riflettere. Per non pentirsi di quello che si è appena detto).

L’odio e Bergonzoni. Allo stato attuale, dopo lo studio e la riflessione, le lacrime e lo smarrimento, il mio stato d’animo si attesta dalle parti del marito della donna uccisa al Bataclan. Era sua moglie, ma non per questo – così ha scritto – i terroristi avranno il suo odio. E’ una lettera bellissima, come lo è l’ennesimo guizzo di genio di Alessandro Bergonzoni, che stamani trasforma sul Fatto l’invocazione “O Dio Onnipotente credo in te” in un oltremodo misericordioso – e dunque utopico – “Odio onnipotente/ Non credo in te!/ ma non ti farò una guerra spietata”. Ieri ho goduto delle parole di Moni Ovadia a Ballarò quasi che fossero un balsamo per l’anima, e persino Salvini – quasi mai condivisibile ma certo non stupido – per una volta è stato zitto e ha incassato il colpo. Mi tornano, una volta di più, le parole di Vittorio Arrigoni: “Restiamo umani”. Per meglio dire: torniamo umani. O addirittura diventiamolo: una volta per tutte.

Sì, ma la guerra serve? Tutto questo però non è una risposta politica o strategica, ma emotiva: l’unica possibile, per noi che non abbiamo ruoli di governo. Difendere la propria umanità, ove ammesso che sia presente, dovrebbe essere il nostro orizzonte quotidiano. Poi però uno si chiede: la guerra servirebbe? In primo luogo siamo già in guerra. L’Occidente la fa da decenni in Medioriente, con risultati quasi sempre disastrosi. Un certo Tony Blair, professione “macellaio ilare della sinistra” (per questo piace a Renzi), con una decina di anni di ritardo ha ammesso che la guerra in Iraq era sbagliata, e che proprio la guerra ha permesso allo Stato Islamico di germogliare. Tutto vero, ma ora cos’è cambiato? Semplice: adesso la guerra è alle nostre porte. E dunque ci interessa molto di più. Finora l’Europa era stata quasi sempre salvata, a parte Madrid e Londra più di dieci anni fa. Esprimere solidarietà agli Stati Uniti, dopo l’11 settembre, era facile da lontano. Con la mattanza di Charlie Hebdo è cambiato tutto. E ora che il Giubileo sta per cominciare, scopriamo di colpo quanto la nostra vita sia smisuratamente labile.

Crozza Paradox. Ieri Maurizio Crozza ha coraggiosamente sottolineato come tanti italiani si riempiano la bocca (e la bacheca) di slogan tipo “Je suis Paris”, ma poi non glie n’è mai fregato nulla delle morti lontane. Insomma: ipocrisia. Pensate ai curdi: vengono massacrati da decenni, ma non mi risultano fiaccolate nostrane. Di curdi e peshmerga si parla solo adesso perché ora all’Occidente d’improvviso fanno comodo, visto che in Iraq e Siria gli “stivali sul terreno” ce li mettono loro (e stanno” “dalla nostra parte”). Crozza ha ragione, ma è sempre stato così: i morti non sono tutti uguali. Non solo perché alcune morti sono salvifiche (esempio: Hitler) ma anche perché il morto più vicino è più morto degli altri. Perché? Perché il morto vicino ci ricorda la nostra morte. Spesso, più che compassione, la nostra è egoistica – ma umanissima – paura di morire.

“E’ colpa dell’Occidente”. Certo che lo è, ma dirlo non aiuta a risolvere il problema. Non del tutto. Saddam Hussein, per lungo tempo, agli Stati Uniti ha fatto comodo. La Francia è intervenuta in Siria contro il despotismo di Assad, finendo però col fare il gioco dell’Isis (e dando addirittura ragione a Putin, che infatti adesso in Francia – e non solo – è tornato di moda). Anche l’Italia resta equivoca: che rapporti ha Renzi con gli emiri, che ha riverito anche di recente in alcuni dei suoi viaggi tragicomici? Ed è proprio necessario vendere altri caccia Eurofighter al Kuwait per 8 miliardi con la compartecipazione di Governo e Alenia (cioè gruppo Finmeccanica), con la scusa che “il Kuwait è nostro alleato e pure moderato”? Esaurite l’analisi e l’autoanalisi atte a individuare il colpevole, resta il problema di fondo: che fare concretamente? Bombardare? Non reagire? Azzerare i finanziamenti (a chi? All’Isis, che i soldi se li procaccia benissimo già da solo col suo autogoverno)? Oppure, come sento ripetere ovunque come un mantra, “Operare con un’attenta intelligence?” (che vuol dire, di grazia?). Io non ho soluzioni, ma mi fanno un po’ sorridere quelli che alla mattanza reagiscono prendendosela con Belpietro (che resta Belpietro: lo scoprite adesso?) o invocando la misericordia. E’ un atteggiamento che va certo perseguito come esseri umani, ma se foste governanti cosa fareste? Vale anche per i 5 Stelle, che hanno avuto il merito di attendere prima di dare una risposta – per il frastuono inutile bastavano Fiano e Luttwak – ma che hanno poi dato risposte eticamente accettabilissime ma concretamente fumose.

E l’Italia che farà? Neanche l’Italia lo sa ancora. E’ ovvio che, appellandosi all’articolo 42.7 del Trattato di Lisbona, la Francia non chiede all’Europa soltanto “un appoggio morale”, come tartagliava un po’ pateticamente ieri il rutilante Gentiloni a Otto e mezzo (mamma mia, in che mani siamo). La Francia ci chiede di intervenire militarmente. Magari non con nuove milizie a terra, ma verosimilmente intensificando le attività aeree e di informazione. Al momento la Francia è parsa comprensibilmente confusa e drammaticamente impreparata sul fronte dell’intelligence, ambito – per quanto possa sembrare assurdo – in cui invece l’Italia sa eccellere.

Purtroppo siamo abituati a fronteggiare terrorismo e malavita organizzata. E questo ci ha tenuto allenati. Gli stessi Servizi Segreti, quando non deviati, non sono privi di eccellenza. Resta però il quesito dirimente: che fare concretamente? Renzi è un politico imbarazzante quando si occupa di politica interna, di questione morale, di economia. E ha pure una “classe dirigente” che fa quasi sempre pena. E’ un disastro e si sa. In questi giorni, almeno per ora, sta però usando toni equilibrati e ponderati. Ha giustamente tirato per le orecchie il ministro Pinotti (sì, la Pinotti è un ministro), che aveva straparlato di bombardamenti, e lui stesso sarà terrorizzato all’idea di dipendere da Gentiloni. E’ una fortuna – se non altro – che oggi al governo non ci sia un premier guerrafondaio (Berlusconi, Salvini). Renzi sta prendendo comprensibilmente tempo. Forse perché è sgomento pure lui, forse perché un intervento armato non sarebbe elettoralmente redditizio. Non è dato sapere. Ma è già qualcosa.

Il santanchismo. Gli attentati parigini, pensati e commessi – giova ricordarlo – da terroristi ritenuti “troppo eccessivi” persino da Al Qaeda, hanno ovviamente ringalluzzito le carampane querule dell’ignoranza. Sono in servizio permanente in tivù, possibilmente da shampiste fraintese per giornaliste. Straparlano genericamente di musulmani, dimenticando per esempio che l’uomo che ha evitato la strage allo Stade de France era musulmano. O che il 95% delle vittime del sedicente Stato Islamico è a sua volta islamico. Di fronte alle tragedie e alle paure, gli avvoltoi dell’odio sono i primi a volare. Per questo sarà dura non cedere alla rabbia e all’odio. Ma occorre provarci. Anzi riuscirci.

P.S. Qualche caso umano, che non cito perché “se gli sputo li profumo”, ha colto l’occasione in questi giorni per spalare merda su Emergency. E’ gente così repellente, intendo non solo fisicamente, che perfino la repellenza si vergogna di albergare in loro. Io, per quel che vale, trovo che essere connazionale di Gino Strada sia una cosa bellissima. E ne vado fiero.

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