“Siamo uscite dall’aula perché non abbiamo capito come mai si deve esprimere solidarietà solo alle vittime di Parigi e non a quelli che muoiono in tutti gli attentati in altre parti del mondo”. E’ così che si sono giustificate alcune studentesse di origine marocchina dopo che lunedì scorso sono uscite dall’aula di una scuola di Varese durante il minuto di silenzio per commemorare i morti della strage dei terroristi in Francia. Sull’episodio, raccontato dalla Prealpina, indaga la Digos di Varese. In un primo momento, parlando con il quotidiano varesino, la preside dell’istituto tecnico Daverio, Nicoletta Pizzato, aveva negato, poi con l’Ansa ha confermato. “Subito dopo comunque quando sono rientrate – ha aggiunto la dirigente scolastica – In quella classe c’è stato un lungo approfondimento”.
Si tratta di una prima, le 6 ragazze che si sono assentate sono musulmane o comunque non cattoliche. “Sono minorenni quindi è mio dovere proteggerle – spiega la professoressa Pizzato – Il loro gesto è stata una richiesta di aiuto a capire quale sia la discriminante nelle commemorazioni dei morti e il nostro compito è quello di educare e formare e raccogliere gli interrogativi posti dagli alunni”. Quando sono rientrate in classe, continua la preside, i docenti hanno cercato di spiegare che quanto accaduto in Francia ha scatenato un coinvolgimento maggiore anche perché è stato vissuto quasi in diretta, grazie a Internet e alla televisione. “Diverso è stato per l’aereo russo precipitato – ha aggiunto Pizzato – Allo stesso modo in alcune parti del mondo non é così facile documentare subito e chiaramente quanto accade”.
Il Daverio è frequentato da circa 1300 studenti, di cui il 10 per cento circa sono stranieri. “In questa scuola non ci sono mai stati episodi di razzismo, anzi sappiamo di essere un’isola felice quanto a integrazione – prosegue la preside – Dopo questo episodio non ho ricevuto alcuna telefonata da parte di genitori o lamentela. Ci sono studenti che sono rimasti svegli la notte degli attentati. Nonostante siano molto giovani si interrogano sui perché e chiedono alla scuola di dare risposte”.