Il gollonzo, basterebbe questa parola oramai entrata nel linguaggio comune e nei dizionari per indicare un gol segnato in maniera assurda, ridicola, impossibile, per certificare l’importanza che ha avuto nella cultura popolare la trasmissione Mai Dire Gol. Ma di esempi ce ne sarebbero a bizzeffe: dal vai col liscio a indicare i mancati controlli di palla, ai fenomeni parastatali, dove si dava l’addio all’ennesimo bidone straniero arrivato in Serie A con una musica struggente ad accompagnare un breve filmato che alterna immagini dei trionfalistici titoli di giornale che li hanno accolti con le loro ridicole esibizioni sui campi. Per non parlare delle interviste impossibili, dagli elzeviri retorici dei presidenti delle squadre provinciali alle massime filosofiche dei vari Arrigo Sacchi (“È stato un avversario molto ostico ma anche agnostico”) e Giovanni Trapattoni (“Non dire gatto se non ce l’hai nel sacco”). Oggi sono esattamente 25 anni dalla messa in onda, il 18 novembre 1990, della trasmissione ideata da Marco Santin, Carlo Taranto e Giorgio Gherarducci e destinata a rivoluzionare il linguaggio calcistico.
Il trio con il nome di Gialappa’s Band – mutuato da una pianta lassativa, giusto per rendere l’idea – è già conosciuto nell’etere lombardo perché commenta alla radio in chiave surreale le partite dei Mondiali di calcio, e dopo il successo di Italia 90 passa al piccolo schermo. Il format all’inizio è spericolato, incomprensibile. I Gialappi già conducevano su Italia Uno Mai dire Banzai, dove commentavano a modo loro i Giochi Senza Frontiere giapponesi, ma il calcio è un’altra roba, si è sempre preso troppo sul serio. Forse la breccia arriva dal Processo del Lunedì di Aldo Biscardi, o dal cazzeggio generalizzato delle tv private, ma qui si tratta proprio di prendere in giro l’apoteosi della permalosità. E’ un rischio che la Gialappa’s corre e vince alla grande. I seriosi e vanesi inviati di Novantesimo Minuto, così come i presidenti, sono restituiti alla loro dimensione di impiegati statali fantozziani, demitizzati e ridicolizzati. Nascono i personaggi di Felice Caccamo da Napoli e Gianduia Vettorello di Torino interpretati da Teo Teocoli, vero e proprio mattatore del programma come Peo Pericoli. Poi sostituito da Claudio Bisio.
Perché il programma in breve tempo diventa una vera e propria fucina di talenti, e dopo le pillole della domenica si guadagna la seconda serata del lunedì. A comici già conosciuti come Gene Gnocchi, Paolo Hendel nelle vesti di Cancarlo Pravettoni, Bebo Storti con il Conte Uguccione e Gioele Dix nell’imitazione di Alberto Tomba, si affiancano tutta una serie di sconosciuti destinati da lì a breve a camminare con le loro gambe. A Mai Dire Gol ci sono infatti le prime apparizioni televisive di Aldo, Giovanni e Giacomo, per cui è difficile scegliere se facevano più ridere i mimi, gli acrobati bulgari, i sardi o gli svizzeri. O Daniele Luttazzi tra Tabloid, il sessuologo e l’annunciatrice tv. O ancora Antonio Albanese che esordisce con Frengo e Stop, lo strepitoso fattone pugliese innamorato di Zeman. Per non parlare della vetrina data ai genovesi Broncoviz di Ugo Dighero e dell’oramai notissimo Maurizio Crozza. Menzione speciale per Walter Fontana, spesso coautore e oggi scrittore e sceneggiatore cinematografico, nei panni del caustico e brutale Dottor Frattale.
Oltre ai comici, Mai Dire Gol lancia anche una serie di presentatori come Simona Ventura, Alessia Marcuzzi e Fabio De Luigi e rilancia il dimenticato Claudio Lippi che conosce nuova vita nel piccolo schermo. Ma è il suo modo di raccontare il calcio, tra interviste impossibili con i sottotitoli o con lo sberleffo delle tre voci in sottofondo, gli spezzoni delle trasmissioni delle tv locali su cui giganteggia un immenso Maurizio Mosca che in quattro minuti manda in galera un telespettatore che al telefono lo accusa di comprare cocaina in Piazza Aspromonte, i filmati che restituiscono il calcio a una dimensione umana, e per questo ridicola, nello stesso momento in cui le pay tv cominciano a imporre la dittatura degli highlights, che Mai Dire Gol in un decennio rivoluziona il modo di raccontare l’ingessatissimo calcio all’insegna del vecchio motto: una risata vi seppellirà.