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Dopo il “Pasolini pedofilo” continuiamo con la nostra scelta di svolgere il ruolo di “avvocati del diavolo” nel processo di beatificazione in corso del personaggio P.P. Pasolini. Perché lo facciamo? Non certo per denigrare lo scrittore o il cineasta o il poeta. Lasciamo il compito critico agli specialisti. Io rimango dell’idea che il punto debole di Pasolini sia proprio nei suoi scritti “civili”. Non sottovalutiamo i suoi “scritti corsari”, ma negli anni Settanta mettere alla gogna le nefandezze della Democrazia cristiana e di Andreotti non era proprio un’enorme originalità (più coraggioso il direttore del “Corriere della sera”, Piero Ottone, a sbattere quegli articoli in faccia ai borghesi milanesi), mentre siamo d’accordo completamente sul giudizio che dette il suo amicissimo Alberto Moravia sul pensiero di fondo di Pasolini e che si può riassumere con la sua definizione di “neo-primitivismo”. Moravia lo spiega bene: “Tra Pasolini e me c’era divergenza sul Terzo mondo. Lui sosteneva che era rovinato dalla rivoluzione industriale e dal consumismo, io pensavo e penso ancora che il Terzo mondo scomparirà e che non è abbastanza industrializzato e consumistico. Dalla cultura contadina non c’è da aspettarsi ormai più nulla di buono, dunque è meglio farla finita e fare davvero la rivoluzione industriale”.

Pasolini può piacere o non piacere, ma il suo caso oggi è importante perché la dice lunga sulla sudditanza di gran parte della cultura italiana alla retorica di stampo “post-comunista-veltroniano” che confonde l’ammirazione con la messa al bando di ogni spirito critico. Tipico di tutti i pensieri , al fondo, fondamentalisti. Nella cultura di massa è più facile creare “santini” e innalzare monumenti che analizzare senza pregiudizi un personaggio zeppo di luci letterarie e di cupe ombre umane. Nel precedente numero del nostro quindicinale abbiamo sottolineato l’aspetto inquietante del Pasolini pedofilo, questa volta ripresentiamo un testo che avemmo il “coraggio” di pubblicare una decina di anni fa di un testimone di eccezione, Giorgio Telmon, di famiglia addirittura famosa ed eroe vero, che – essendone stato la vittima – denuncia con un testo di grande valore anche letterario un episodio in cui compare Pasolini come delatore fascista in tempo di guerra. Siamo andati a rivedere la biografia di Pasolini scritta in forma vergognosamente agiografica e “santificatrice” da Enzo Siciliano. L’episodio è censurato, anche se in una delle sue poesie, Pasolini stesso ebbe il coraggio di scusarsi. Ma, si sa, Pasolini fu una persona che riconosceva e quasi ostentava come valore la “contraddizione”, e sotto questa insegna visse e morì.

L’episodio raccontato da Giorgio Telmon si allaccia drammaticamente a un’altra contraddizione di estrema gravità. Il fratello di Pasolini, Guido, fu vittima di uno dei più tragici episodi della guerra partigiana. Azionista, fu massacrato da alcuni “garibaldini” comunisti. Le premesse sono raccontate proprio da Guido a Pier Paolo il 27 novembre del ‘44: “I presìdi garibaldini (incontrati per strada) fanno di tutto per demoralizzarci e indurci a togliere le mostrine tricolori. A Mernicco un commissario garibaldino mi punta sulla fronte la pistola perché gli ho gridato in faccia che non ha idea di cosa significhi essere “uomini liberi” e che ragionava come un federale fascista. […] A fronte alta dichiariamo di essere italiani e di combattere per la bandiera italiana, e non per lo ‘straccio rosso'”. Pochi mesi dopo un centinaio di partigiani comunisti distrussero la colonna azionista a colpi di pistola alla nuca. Guido riuscì a fuggire, poi, ripreso con l’inganno, fu abbattuto all’interno della sua stessa fossa. L’episodio prese il nome di “eccidio di Porzus”. La famiglia Pasolini visse quella morte “come un’immensa, spaventosa montagna”. Di quella “montagna”, Pasolini scrisse in una lettera a un amico: “Quanto più ce ne allontaniamo tanto più ci appare alta e terribile contro l’orizzonte”. Sarà stata anche sempre più “alta e terribile”, ma non impedì a Pier Paolo un anno dopo di entrare nel partito degli assassini del fratello. E negli stessi luoghi. Siciliano è costretto ad ammettere che il fatto che “egli si fosse avvicinato al Pci fin dal 1946 era stato motivo per alcuni di sconcerto: era il fratello di Guido, ucciso dai comunisti a Porzus”. Le contraddizioni dei poeti scalano le più alte montagne.

Ovviamente il nostro quindicinale non poteva non calarsi nella tragedia francese. Speriamo che ci si riconosca che il nostro punto di vista non è né ripetitivo né conformista.

di Enzo Marzo

 

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