Tra file interminabili, numeretti che terminano ore prima dell’orario di apertura dell’ufficio comunale e giorni di ferie persi dietro a continui rimpalli e disservizi, rinunciare – ad esempio – al cambio di residenza sulla propria carta d’identità (tanto c’è la patente che è aggiornata) è una prassi molto comune. Del resto i limiti della burocrazia sono ben noti e agli italiani da anni non è restato che mettersi l’anima in pace. Come dovrebbero, quindi, reagire i cittadini scoprendo dall’ennesimo annuncio del governo Renzi che entro la fine di dicembre 2015 sarà attiva l’Anagrafe nazionale della popolazione residente (Anpr) che promette di essere una delle colonne portanti della trasformazione digitale del Paese?
Si tratta di uno dei tre progetti (gli altri due sono l’identità digitale e la fatturazione elettronica obbligatoria per i pagamenti della Pubblica amministrazione) che nel 2013 l’allora mr. Agenda Digitale Francesco Caio inserì nel programma (“L’unica e vera riforma dello Stato”, disse) e che ora sta portando avanti l’Agenzia per l’Italia Digitale con un refrain chiaro: la nascita del “cittadino digitale” con capofila del piano il ministero dell’Interno, mentre a Sogei è affidata la gestione delle procedure e ad Agid il coordinamento di tutte le attività affinché le amministrazioni parlino tra loro e ci sia un’integrazione. L’Anagrafe unica dovrebbe mettere ordine nelle oltre 50mila banche dati gestite dalla pubblica amministrazione, permettendo il passaggio a un’unica banca dati centralizzata senza più rischio di errori e frammentazione delle informazioni. Il progetto, tuttavia, rischia di trovare non pochi ostacoli nel percorso di attuazione.
“Io ci andrei con i piedi di piombo – spiega a ilfattoquotidiano.it Sandro Golzio, direttore dei Sistemi informativi del Comune di Torino – per non creare l’ennesima discrepanza tra le aspettative dei cittadini e i progetti di elevata complessità che tutte le amministrazioni comunali stanno affrontando”. Tra meno di un mese, infatti, saranno due Comuni romagnoli – Cesena e Bagnacavallo (che insieme raggiungono una popolazione di appena 114mila abitanti, cioè una volta e mezza la capienza dello Stadio Olimpico di Roma) – a portare la Pubblica amministrazione nel futuro.
Solo a metà febbraio 2016 verranno coinvolte in via sperimentale altre 23 città, tra cui Torino. E, forse, tra un anno toccherà a Roma e Milano così da coinvolgere in totale oltre 6,5 milioni di italiani. Ma tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare, proprio come accaduto alla carta d’identità digitale che, fantasticata nel 2007 dall’allora ministro della Funzione pubblica, Franco Bassanini, come il simbolo della svolta digitale, è miseramente fallita trascinando con sé 15 anni di promesse e attese. I Comuni hanno, infatti, alzato bandiera bianca: nel 2015, secondo i dati forniti dal ministero dell’Interno, dei 200 enti sperimentatori soltanto 61 hanno richiesto carte elettroniche per l’anno in corso, per quantitativi irrilevanti. Il motivo? Non hanno le macchine di nuova generazione in grado di stampare le tessere elettroniche e di soldi comunali da spendere non ce ne sono proprio.
“L’anagrafe unica – sottolinea però Golzio – non ha le aspettative e i limiti tecnici della carta d’identità elettronica. Il problema è solo capire cosa sia fattibile e cosa futuribile. Da anni Torino sta lavorando su migliaia di dati con il solo scopo di bonificarli: si scoprono errori negli indirizzi di residenza, dati duplicati, mancanza di un secondo nome, indirizzi che compaiono anche 4/5 volte perché per le vie con i nomi di persona vengono invertiti il nome e il cognome o appaiono appuntati. Forse solo tra un anno e mezzo riusciremo concretamente a vedere i risultati. Ostacoli formali che – aggiunge – limitano il progetto con il rischio di trasformarlo in un bagno di sangue per i Comini coinvolti che stanno sborsando direttamente dei quattrini per avviare la procedura di ripulitura e aggiornamento, visto che per il governo il progetto è a invarianza di spesa”.
Pregevole l’obiettivo di ammodernare la macchina burocratica dalle sue fondamenta, semplificando la vita dei cittadini (dai certificati di nascita a quelli di residenza, la cui richiesta potrà essere fatta ovunque uno si trovi e in tempo reale risolvendo così uno dei drammi per gli studenti e i lavoratori fuori sede), ma è percorribile una strada che già si sa che andrà a perdersi con migliaia di Comuni che non hanno risorse economiche sufficienti per far fronte alle richieste? L’Anagrafe passa, infatti, esclusivamente per assistenza e manutenzione sul software applicativo e costi extra del personale amministrativo. E i numeri parlano chiaro: Netics (una società di ricerca e consulenza Ict) stima intorno ai 18-20 milioni di euro annui il giro d’affari che ruota intorno agli attuali fornitori esterni che si occupano per i Comuni di gestire i software applicativi (con i servizi di assistenza e manutenzione) dell’anagrafe della popolazione residente, di quella degli italiani residenti all’estero, dello stato civile e dell’anagrafe elettorale.
“La maggiore efficienza della macchina pubblica – conclude Golzio – si realizzerà solo con una visione d’insieme del sistema: l’Anagrafe è, infatti, il tassello di un puzzle nella riforma tecnologica messa in atto e che deve passare per i sistemi di concessione e gestione delle identità digitali (Spid), il documento digitale unico, la firma elettronica e il domicilio digitale. Progetti ancora bloccati”. E come ha spiegato il sottosegretario all’Economia, Pier Paolo Baretta, durante la presentazione dell’Anpr “il problema sarà mettere insieme le piattaforme per andare verso l’interoperabilità dei dati e la loro compenetrazione”. Un processo che implica lo sforzo maggiore da parte dei Comuni.