“Avverto in questo momento la responsabilità e la delicatezza della fase che stiamo vivendo e proprio per questo penso: cosa serve? Serve investire in cyber security per tracciare cosa passa sul web”.
Lo ha detto il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ieri nel corso di un’intervista con il direttore di SkyTG24 Sara Varetto.
E, naturalmente, dopo i fatti di Parigi, si tratta di pensieri e riflessioni che – magari declinati con espressioni e sfumature diverse – attraversano trasversalmente le menti dei Capi di governo dell’intero Occidente.
Davanti ad una minaccia terroristica tanto allarmante e che, inevitabilmente, ai tempi di Internet, corre anche lungo la Rete, sarebbe, d’altra parte, strano se un capo di Stato non si preoccupasse anche di garantire un’adeguata attività di intelligence e sicurezza online.
Tuttavia se sottovalutare la dimensione telematica del fenomeno terroristico sarebbe un errore, lasciarsi prendere la mano da facili – e, per la verità, diffuse – tentazioni di promuovere forme di monitoraggio di massa di tutte le condotte online, tracciando – per usare le parole del premier – “cosa passa sul web”, costituirebbe un errore probabilmente ancora più grande.
Significherebbe, infatti, barattare privacy, riservatezza, intimità e tutela dell’identità dei cittadini con una semplice – ancorché preziosa ed importante – ambizione di maggiore sicurezza senza, naturalmente, alcuna certezza di successo.
Fa bene, quindi, il premier quando dice un no secco e senza esitazioni all’idea di una riforma costituzionale che riposizioni la linea di equilibrio tra sorveglianza e libertà più prossima alla prima e più lontana dalla seconda.
Ma difendere la Costituzione, purtroppo, non basta perché negli ultimi mesi si è visto più e più volte come la nostra Carta Costituzionale da sola non sia in grado di evitare operazioni di sorveglianza di massa all’interno dei nostri confini né vendita di software di sorveglianza di massa dall’Italia al resto del mondo.
Più che la cyber-sicurezza evocata dal Primo ministro della quale, pure, abbiamo bisogno, serve una cyber-intelligence intelligente – se mi si permette il gioco di parole – ed equilibrata che consenta l’analisi, lo studio e l’elaborazione di dati ed informazioni utili a prevenire, o a provare a prevenire, episodi terroristici senza, tuttavia, mettere a repentaglio la privacy dei cittadini.
E per raggiungere un obiettivo di questo genere serve che – proprio facendo ricorso a quel “sangue freddo” che, il presidente del Consiglio ha pure citato nel corso della sua intervista, non ci si lasci prendere dall’emergenza e si lavori invece a iniziative intelligenti, frutto di un dialogo aperto e collaborativo tra le istituzioni che hanno per compito quello di garantire la sicurezza nazionale e quelle – come il Garante per la protezione dei dati personali – che hanno per missione quella di garantire la non meno importante libertà dei cittadini a non ritrovarsi in un Paese di orwelliana memoria.
Non passi, insomma, la linea del fine che giustifica i mezzi, né l’idea che la sicurezza è più importante della privacy, né, infine – quella pure diffusa – secondo la quale i cittadini onesti non hanno niente da temere da un grande fratello di Stato che va a caccia di terroristi nei nostri PC, nei “nostri” socialnetwork o nella nostra corrispondenza telematica.
Per quanto oggi quel giorno appaia lontano, il fenomeno terroristico, prima o dopo, sarà sconfitto e debellato come è già accaduto in passato per altri analoghi flagelli che si sono abbattuti sulla storia italiana e del mondo, ma eventuali leggi speciali che riposizionassero la linea di confine tra privacy e sicurezza, sarebbero destinate ad accompagnarci assai a lungo perché è inutile negare che una volta aperta la strada a certe soluzioni “pragmatiche”, tornare indietro in nome dei principi non è mai facile.
E se ne è avuta una conferma plastica ascoltando, l’altro giorno, l’ex Presidente francese Nicholas Sarcozy, dire che, in fondo, bisognerebbe applicare a chi visita un sito jahidista la stessa regola a suo tempo pensata per chi visita un sito pedopornografico: considerarlo senz’altro un terrorista e sbatterlo in galera.
L’eccezione pragmatica e sommaria studiata e varata davanti ad un fenomeno raccapricciante e, purtroppo, permanente come la pedopornografia, diventa, rapidamente, regola applicabile anche a fenomeni diversi e nell’ambito dei quali la linea di confine tra sicurezza, repressione del crimine e libertà è più labile.