Una notazione marginale, forse. Non farò un discorso politico riguardo agli attentati di Parigi perché non sono in grado, e la politica non è il mio forte. Ho una sensibilità estetica e quindi
farò un discorso “estetico “, e non vi sembri un vezzo parlare di estetica e di rappresentazione di quello che accade, secondo me è un discorso di vitale importanza, le nostre azioni nascono anche dal nostro modo di percepire il mondo.
Iniziamo dalla televisione. L’orrore di quello che è accaduto a Parigi viene rappresentato dalle immagini ufficiali dei telegiornali: campi lunghi statici e zoom, l’occhio indiscreto non può andare oltre in un primo momento. A queste immagini si aggiungono quelle fluide dei cellulari, e la sensazione è quella di essere vicini all’orrore, di farne quasi parte, per immedesimazione e per compassione, anche perché chi riprende è uno di noi, non una troupe televisiva. La seconda fase è quella in cui l’apparato televisivo metabolizza l’evento, e allora abbiamo le panoramiche e i dettagli dell’orrore, e i primi piani delle foto e delle interviste.
Il volto in questa fase diventa protagonista. Il volto di chi ha ucciso e il volto di chi è morto. Il volto di chi è in fuga e di chi si è salvato. La reazione politica è un mezzo busto, dalla cintola in su. Dalla cintola in su avvengono le dichiarazioni di guerra, di reazione spietata contro il nemico.
Basterebbe inserire un dettaglio di sapore cinematografico, le unghie o le scarpe di Hollande, un dettaglio sui lobi delle orecchie di Hollande, e la dichiarazione di guerra assumerebbe un senso diverso, quasi ridicolo. Nei dettagli si nasconde il diavolo. E forse la verità. La reazione militare è un videogioco di luce verdastra, immagini asettiche, immagini plongèe (dall’alto). Non vediamo i corpi dilacerati, smembrati, il sangue. Noi siamo i buoni che non uccidono i bambini. Siamo quelli che giocano al videogioco della morte.
Solo che il game over in questo videogioco infernale non esiste. C’è solo una coazione a ripetere, il videogioco ha bisogno continuamente di denaro, ma il denaro non è una monetina da infilare nella fessura, il denaro è il videogioco stesso, lo sterco del diavolo è la sua linfa, la sua struttura. E se mai ci mostreranno gli effetti collaterali dei nostri bombardamenti faranno di tutto per non farci “aderire” a quelle immagini che verranno presto diluite nel Palinsesto, unica vera divinità di una società fatua e senza vita.
Poi ci sono le immagini della rivendicazione della strage da parte del nemico, e spesso e volentieri il nemico usa “il piano americano ” per rappresentarsi (dal ginocchio in su ), e non vi sembri una facile ironia il piano americano. Non sono riflessioni peregrine, basta ricordare la recente fotografia del corpicino senza vita in riva al mare per capire come l’immagine strutturi la nostra coscienza, oggi più che mai.
Sorvolo sui salotti televisivi dove l’orrore diventa chiacchiera, luoghi inadatti sia linguisticamente che ontologicamente nel rimandare il senso profondo di quello che accade. Internet è l’indifferenziato, le stragi di Parigi e gli amorazzi di Belen sono sullo stesso livello di coscienza, e c’è il fantasma della democrazia, non il suo corpo vivente. I quotidiani per loro stessa natura non vanno oltre il quotidiano, appunto. Non ci salvano i quotidiani, i migliori ci informano con onestà, ma non basta.
Solo la figura dell’inviato ha una sua pregnanza, ma per andare oltre la cronaca bisogna immaginare diversamente, tornare alla soggettiva, Ognuno di noi deve farsi soggettiva, e deve assumersi la responsabilità del proprio sguardo, deve incarnarlo, diventando l’inviato di se stesso. Solo così ci salveremo, attraverso una rivoluzione della percezione, del nostro modo di osservare. In questo caos di immagini congestionate un volto per me assurge a senso di tutto : il volto di Valeria Solesin. Il suo volto è il nostro volto. Lo dobbiamo amare, non dobbiamo mai dimenticarlo. Ma dobbiamo anche essere in grado di immaginare il volto del nemico, rendere umano anche il nemico attraverso lo scandalo dell’amore, se continuerà a prevalere la logica del nemico-mostro l’orrore non avrà mia fine.
Per vivere in qualcosa che assomigli vagamente alla pace dobbiamo avere il coraggio e la follia di amare. In caso contrario tutto è perduto, e il volto di Valeria Solesin si ripeterà all’infinito, ma in una cornice di orrore, odio e vendetta senza requie. Questo è solo – un punto di vista -, il mio. Se avessi più coraggio andrei in guerra imbracciando la mia videocamera, per scardinare l’apparato percettivo vigente, ma questo coraggio mi manca e preferisco andare a fare un happy hour con gli amici, consapevole di essere in una trincea possibile, e se mi capiterà di sentire qualcuno gridare ” Allahu Akbar “, avrò la mia olivetta nel Martini da contrapporre ai loro kalashnikov, come voi del resto. Ore felici a tutti.