Margie Brand due anni fa si fingeva morta. Era stesa sul pavimento del supermercato di Nairobi, con il suo bimbo di 8 mesi, mentre 10 terroristi massacravano coi mitra 68 persone, “passando e ripassando tra i feriti per finirli”. Lei è a terra e si nascondeva tra i cadaveri, il bimbo per fortuna non emise un gemito. E’ scampata per miracolo. Dopo due anni di silenzio ieri notte Margie ha scritto un lungo post dedicato ai fatti di Parigi. Racconta cosa succede nella vita e nella mente dei superstiti. Viene condiviso in poche ore da 20mila persone. Ai sopravvissuti del 13 novembre chiede di non arrendersi all’odio, anche se la vita resta segnata per sempre. “Ancora oggi faccio un salto al suono di un rumore forte. Mi alzo dal tavolo e corro fuori da un ristorante se le luci sfarfallano come fecero appena prima dell’attacco di quel giorno. Immagini, suoni, odori – tutto può inaspettatamente riportarmi lì”. L’appello: “Se noi trasmettiamo paura e odio, contagiamo gli altri a fare la stessa cosa, e allarghiamo sempre di più quel campo. Per favore, non fatelo”. Un messaggio simile al “non avrete il mio odio”, rivolto da Antoine ai terroristi che al Bataclan hanno ucciso sua moglie.
Margie Brand fa un manifesto pubblico di questa reazione privata. Si capisce, da alcune frasi, quanto abbia lavorato su se stessa per arrivarci. “Per molti di noi, anche se il tempo può cominciare a guarire, ci saranno sempre, i suoni e gli odori che ci riportano indietro lì. Non avrei mai pensato di rivivere ora quei suoni e quelle immagini”. Che sono ferme nel tempo, indelebili. Tanto da poterli ripercorrere con lucidità come fosse accaduto ieri. Ecco il racconto. “Ho tenuto stretto a me il mio bimbo di otto mesi, mentre correvo, quando scivolavo, il mio cuore che saltava fuori dal petto. Mi sono nascosta tra i morti per 5 ore. Sembrava una vita”. Intorno, l’inferno: “Camminavano tranquillamente, su e giù, tra i corridoi. Uccidevano tutti quelli che trovarono. Poi ripassavano sui feriti e i cadaveri. Non si sono accorti di me che ero sdraiata, raggomitolata come una palla, tra i moribondi. Il mio bambino rimase in silenzio. Non sapremo mai come. La mente mi diceva che era il momento dell’ultimo respiro. Ero pronta. Nessun odio. Sì, è incredibile ma la paura rende desiderabile la morte, ma non l’odio. La paura che ti prende fa passare la paura. Diventa, stranamente, pacificamente. Rannicchiata come un cerchio, il pavimento freddo. Ho ascoltato i suoni della morte intrecciati con la sensazione di silenzio. Poi. Eccolo lì. Guardando verso il basso la sua canna, dritto verso di me. Torreggiante. Occhi pieni di disprezzo”.
Poi l’angoscia del sopravvissuto. “Nessuno sa perché quel giorno di tutti i giorni, dopo aver ucciso i bambini, le donne incinte, e chiunque di poter trovare, mi hanno lasciato vivere. Sapevo che sarebbe ora la mia fine. Hanno ucciso la donna sdraiata accanto a me. Mi hanno detto però di camminare. Ho camminato sui morti. Ho camminato fuori tenendo il mio bambino. In un’altra parte del centro commerciale il mio amico giaceva morto. Lui e sessanta altre sette non sono mai uscite di lì, altre centinaia che l’hanno fatto si portano addosso ancora le cicatrici delle ferite. Come molti sopravvissuti, faccio un salto ancora al suono di un forte rumore”. Infine il congedo, sul tema dell’odio. Non fatelo. “Io credo che insieme possiamo cambiare la frequenza dei pensieri e il cuore delle persone. Se noi emaniamo paura e odio, contagiamo gli altri a fare la stessa cosa e finiamo tutti, sempre di più, in quel campo. Se noi emaniamo amore e gioia di vivere, accresciamo la nostra rete di amore che avvolgerà tutti gli altri. Ho chiuso il mio computer, il mio telefono e l’ipad. È troppo, è troppo. Chiudo gli occhi e emano amore. Westgate 2013″.