Il più grande portiere del calcio moderno, forse di sempre, bandiera della Juventus ed eroe di Berlino. Ma anche quello del “boia chi molla” o del numero 88 sulla maglia. Vent’anni di Gianluigi Buffon: amore e odio, prendere o lasciare. Il 19 novembre del 1995 un ragazzino con un cognome famoso (Lorenzo Buffon, suo lontano parente, giocò per Milan e Inter negli anni ’50 e ’60) debuttava in Serie A. Appena 17enne, fermò il Milan di Baggio, Weah e Capello che avrebbe vinto il campionato. Un predestinato, si diceva. E mai profezia si è rivelata più azzeccata.
In due decenni fra i pali di Parma, Juventus e nazionale è diventato qualcosa in più che un semplice portiere. Un mito vivente, icona del suo ruolo come pochi altri: forse solo i leggendari Jascin e Zamora (altri tempi), o il pittoresco Higuita (altre motivazioni). Al suo fianco, per certi momenti anche davanti a lui, si sono alternati grandi interpreti del numero uno: Kahn, Toldo, Dida, Cech, Casillas, Neuer. Ma tutti sono saliti e poi scesi. Gli altri passano, lui resta. Ancora ai massimi livelli a 37 anni, trentotto il prossimo gennaio. Calciatore e personaggio. Guascone che ama stare davanti alle telecamere e “metterci la faccia”. Che non si tira mai indietro e a volte si spinge troppo avanti. Nel ’99 si presentò ad un’intervista con scritto a pennarello sulla maglia “Boia chi molla”: motto fascista, a suo dire semplice ricordo di adolescenza (“l’avevo letto a 13 anni sul tavolo del collegio dove vivevo”). Uno scivolone replicato l’anno dopo, con la scelta dell’88 come numero di maglia: il “simbolo delle palle”, anche le iniziali dell’invocazione nazista “Heil Hitler“. Simpatizzante, militante o semplice “ignorante”, nel 2006 il Gigi nazionale ha festeggiato la vittoria del Mondiale con uno striscione “Fieri di essere italiani“, con tanto di croce celtica.
Sul campo quello è stato il punto più alto di una carriera straordinaria. Cominciata da centrocampista, prima della svolta da portiere a tredici anni per seguire le orme del suo idolo N’Kono, numero uno del Camerun ai Mondiali di Italia ’90. Dal cambio di ruolo ci ha guadagnato. In venti anni tanti alti e pochi bassi. Anche la retrocessione in Serie B nel post Calciopoli, ma sempre da protagonista, da campione del mondo che non abbandonava la nave che affondava. Personaggio divisivo, a volte chiacchierato. Come la sua vita privata. La storia e il matrimonio con la showgirl Alena Seredova, il tradimento con la giornalista Ilaria D’Amico, che ogni domenica lo intervista nel salotto di Sky Sport dandogli del lei e da cui aspetta a breve il terzo figlio. Tutto in prima pagina.
Papere in porta quasi mai, o comunque poche se rapportate alle oltre 750 partite da professionista. Fuori dal campo qualche uscita a vuoto in più. Non solo i ripetuti ammiccamenti al mondo dell’estrema destra. La partecipazione societaria nel gruppo tessile Zucchi. Soprattutto i guai giudiziari. Il coinvolgimento in un’indagine su presunte scommesse clandestine proprio alla vigilia dei Mondiali 2006, da cui poi sarebbe stato prosciolto con formula piena. Di nuovo nel 2012, con quegli strani versamenti di denaro verso una tabaccheria di Parma (“Un pronostico? Chiedete a Buffon, è lui quello che va in ricevitoria”, sibilò Zeman). E sempre a proposito di calcioscommesse, quelle frasi infelici (“Meglio due feriti che un morto”), o le immancabili allusioni al fascismo (“Siamo ancora l’Italia di piazzale Loreto“).
Discusso come uomo, campione indiscutibile tra i pali. Da quel lontano 19 novembre 1995 sono passati esattamente 20 anni. E lui ha vinto tutto, o quasi. Sei scudetti, due Coppe Italia, sei Supercoppe, una Coppa Uefa, svariati premi di miglior portiere (dell’anno, del ventennio, del secolo), il record assoluto di presenze in azzurro. E un mondiale, con quell’intervento decisivo nei supplementari su Zidane che lui stesso ha definito “la parata della vita”. Mancherebbe ancora qualcosa: la Champions League, quel pallone d’oro che avrebbe meritato già nel 2006. Magari anche il primato di essere il primo e unico giocatore della storia a disputare sei Coppe del Mondo. Ma forse c’è tempo: nel 2018 avrà 40 anni, come Zoff a Spagna ’82. Oggi Buffon è ancora il numero uno. Continuerà a giocare, a parare. E a far discutere.