L'amministrazione del sindaco Occhiuto aveva annunciato la campagna di ricerche in Parlamento e sui Tg nazionali. Sei mesi per individuare la tomba del re dei Goti e trovare qualche reperto per il nascente "Museo di Alarico", che costerà 7 milioni ai contribuenti. Due giorni dopo le ricerche si fermano: mai autorizzate
La “caccia al tesoro” era appena partita tra aspettative, incredulità e polemiche. La notizia è che dopo due giorni si è già fermata, la Soprintendenza archeologica della Calabria ha bloccato tutto. Il motivo? La campagna di scavi lungo il fiume Busento non era mai stata autorizzata. Annunciata in pompa magna, doveva servire a individuare il leggendario “tesoro di Alarico” che le antiche scritture indicano in 25 tonnellate d’oro e 150 d’argento, il bottino favoloso dei Goti dopo il Sacco di Roma. Se non tutto, almeno a rinvenire qualche pezzo utile al fantomatico museo che l’amministrazione cosentina ha deciso di dedicare al Re massacratore, senza che si sia mai rinvenuto uno straccio di reperto, un sesterzio o anche solo un coccio di vaso rotto riferibile ai Goti. A volte si scava per non toccare il fondo. Parecchio da fare si è data l’amministrazione guidata da Mario Occhiuto che ha scommesso molto su un’iniziativa di marketing territoriale che accalora e divide studiosi e appassionati di storia. E forse non a torto, perché ai contribuenti costerà svariati milioni di euro.
Nel frattempo il sindaco ha deciso di scavare oltre, rilanciando le ricerche del “tesoro” lungo il fiume. E qui la vicenda è diventata farsa. Le premesse: in giro, per quanto li si cerchi, non si trovano tanti studiosi disposti a giocarsi la reputazione rincorrendo la leggenda tramandata da Cassiodoro e dallo storico Jordanes. Nei testi antichi raccontano che Alarico fu inumato con i suoi tesori secondo la tradizione funeraria dei Goti e che per rendere la tomba inaccessibile fu scelto il letto del fiume che fu deviato temporaneamente usando i prigionieri che poi furono uccisi uno a uno. Qualcuno però ci crede davvero. A farsi avanti è uno sparuto gruppo di novelli Indiana Jones che, armati di droni e georadar, tenteranno di riscontrare con tecnologie moderne quel che ricerche archeologiche e predoni non hanno rinvenuto in cinque secoli di tentativi. L’impresa è ardita e viene anche presentata in Parlamento, con tanto di conferenza stampa. I lavori di perlustrazione partono il 16 novembre per durare sei mesi. E poi? Sono durati due giorni soltanto. La soprintendenza ha appena notificato lo stop al Comune. Nessuno, in tutto questo, ha pensato di chiedere le autorizzazioni necessarie. Non ci ha pensato il Comune, non ci hanno pensato i finanziatori (privati) dell’impresa. Per poche decine di migliaia di euro a farsi avanti era stata la Fondazione Cassa di Risparmio della Calabria e della Lucania. Perché di sicuro non c’è, ma se mai ci fosse un tesoro meglio metterlo subito in banca.
Come nei migliori copioni esiste quello alternativo, il piano B. Il sindaco ha anche messo insieme un comitato tecnico-scientifico che annovera figure di spicco, come l’ex rettore dell’Università di Reggio Calabria ed ex ministro dei Trasporti Alessandro Bianchi. Alla testa il professor Pietro De Leo, ordinario di storia medioevale. Nessuno di loro andrà con pala e pile a cercare il tesoro. L’accordo tra Comune e “Consorzio Cultura e Innovazione” prevede lo sviluppo di “modelli virtuali” che raccontino la leggenda di Alarico. Attaverso l’uso di touch screen. Ebbene sì, se i Predatori dell’arca perduta non trovassero alcunché per dare un contenuto (purché sia) al museo sarà la multimedialità a colmare il vuoto: il museo di Alarico sarà uno spazio virtuale sostanzialmente privo di reperti. Questo nulla sarà però racchiuso in un manufatto basso e dalle linee modernissime, quasi un cubo, che nei rendering fa già a pugni con gli edifici alle sue spalle, segnati dal tempo e traforati dai colpi sparati in guerra. Non mancherà, a quanto è dato sapere, una statua equestre del Gran Barbaro che emerge dalle acque.
Studiosi, residenti, intellettuali, appassionati di storia seguono increduli questa strana commedia senz’arte né parte. A molti non piace neppure l’introduzione e si chiedono perché mai rimestare e incensare il fantasma del re dei Goti, il cui nome resta indissolubilmente legato a uno degli eventi più traumatici del mondo antico, l’11 settembre della civiltà romana. Ci va giù durissimo, tra gli altri, l’archeologo Battista Sangineto, rilevando l’autolesionismo che accompagna l’operazione: “Si spendono soldi per una leggenda quando il centro storico va a pezzi. Alarico, poi? Sterminò centinaia di cosentini, non può costituire la spinta propulsiva, il riferimento culturale e identitario di un progetto museale che attragga turismo culturale. Onorarlo in maniera ossessivo-compulsiva, titolando piazze e pizzerie al re dei Goti è come scolpire nella pietra il marchio della città iettatrice. Farne un brand è anche umiliante per Cosenza che nel Medioevo fu una piccola culla di democrazia. Alarico ci morì per caso, è una cosa appiccicata lì”. Come gli adesivi “vota” durante le elezioni.
Perché non si può capire fino in fondo questa storia senza un dettaglio essenziale: a primavera in città si vota e sulle memorie di Alarico il sindaco di centrodestra si gioca la rielezione. Il museo vorrebbe essere il fiore all’occhiello del suo mandato, simbolo e prova della strenua volontà di modernizzare la Cosenza decaduta, spenta, funerea di certe cartoline ingiallite. Quella che già secoli fa i viaggiatori descrivevano come “terra di morti” o tomba dei re e degli eroi. Non a caso alla spedizione dei geologi lungo il letto del Busento, fermata dalla Soprintendenza, erano stati concessi sei mesi di tempo. E cioè di andare oltre l’appuntamento elettorale. Così, se un domani si scoprisse mai che la tomba col tesoro non c’è, l’urna sarà già chiusa.
La replica del sindaco Occhiuto:
“Nessuno scavo archeologico e nessuna indagine invasiva sul fiume Crati. I rilievi effettuati sull’alveo del fiume Crati e sul Busento, nei giorni scorsi, erano, come più volte sottolineato, del tutto non invasivi. Altra cosa erano i lavori di bonifica che la Provincia, già da diversi giorni e con tutte le autorizzazioni, stava effettuando proprio a tutela del fiume e del suo ambiente. La campagna di scavi per Alarico sarà infatti debitamente pianificata, solo in presenza di indizi reali e, naturalmente, non sarà avviata prima di aver richiesto tutte le autorizzazioni necessarie. Un enorme malinteso, dunque, creato da chi ha deciso di agire in malafede e presentare una denuncia senza minimamente documentarsi su quello che stava accadendo. Pertanto, nel giro di 48 ore, la vicenda, che ha visto la richiesta di chiarimenti della Soprintendenza, è stata debitamente chiarita dal dirigente del settore Viabilità e manutenzione del territorio della Provincia”.
Ecco il testo della risposta inviata alla Soprintendenza.
“Oggetto: Provvedimento di sospensione dei lavori di “Riqualificazione della confluenza dei Fiumi Crati e Busento e realizzazione del Museo di Alarico” – riscontro all’atto notificato dal Comando Carabinieri Tutela del Patrimonio culturale, Nucleo di Cosenza in data 18/11/2015
Premesso che l’atto notificato si riferisce al progetto di “Riqualificazione della confluenza dei Fiumi Crati e Busento e realizzazione del Museo di Alarico”, di competenza del Comune di Cosenza e non della Provincia di Cosenza, si evidenzia quanto segue:
Per quanto sopradetto è evidente che i lavori che sono in esecuzione non riguardano in alcun modo la ricerca di beni d’interesse archeologico, ma sono esclusivamente finalizzati alla mitigazione del rischio idrogeologico. E’ da rilevare, infine, che questo Ente si è preoccupato d’incaricare per la fase esecutiva dei lavori un geologo e un archeologo per monitorare le fasi preliminari al posizionamento dei massi con l’utilizzazione di specifica strumentazione non invasiva per indagini geognostiche superficiali. Tutto ciò, al fine di garantire la sicurezza sia della manovalanza che degli edifici limitrofi per la eventuale presenza di ordigni bellici. Lo stesso dicasi per il ritrovamento di eventuali reperti archeologici. Ad ogni modo, si fa presente, che da numerosi colloqui intercorsi con il Presidente del Provincia, che è anche Sindaco della Citta di Cosenza, si è evinto che lo stesso ha inteso utilizzare l’’attività preliminare d’indagine anche per una prima superficiale ricognizione di elementi utili per l’impostazione di una effettiva campagna di ricerca archeologica per la quale saranno attivate tutte le procedure e/o autorizzazioni previste dalla normativa vigente”.
La nostra replica
Pubblichiamo volentieri la precisazione del sindaco. Ciononostante rileviamo che la soprintendenza archeologica della Calabria ha ritenuto di bloccare i lavori ravvisando la violazione di tre articoli del Codice dei beni culturali, e per la precisione gli articoli 88, 85 e 96 del Dgls 22 gennaio 2004, n. 42. Rileviamo, inoltre, la curiosa circostanza per cui a seguire i lavori bloccati – che per l’amministrazione “non riguardano in alcun modo la ricerca di beni d’interesse archeologico” – il Comune ha chiamato proprio un archeologo.
Aggiornato da Redazione Web il 20/11/2015 ore 15:24