“Lea è stata rappresentata malissimo, come una ragazza rozza, ma non era così, era molto signorile e parlava benissimo l’italiano”. Le critiche di Marisa Garofalo vanno oltre, fino a toccare l’associazione Libera di don Luigi Ciotti. Dal punto di vista della rappresentazione televisiva, però, il film di Marco Tullio Giordana merita un plauso. È stato un omaggio sobrio, senza fronzoli, asciutto
Lea, il film per la tv diretto da Marco Tullio Giordana e andato in onda mercoledì sera su RaiUno, ha vinto la sfida dell’Auditel (oltre 4 milioni di spettatori, 16,24% di share) e, stando almeno ai commenti sui social, è stato molto apprezzato dal pubblico. Il film ha raccontato la vicenda di Lea Garofalo, donna che si è ribellata alle regole della ‘ndrangheta fino a pagare con la propria vita, uccisa dall’ex compagno (e padre di sua figlia), e oggi uno dei simboli più efficaci della lotta alla criminalità organizzata in Calabria.
Ma il modo in cui è stato rappresentato il personaggio di Lea non è piaciuto alla sorella Marisa che, intervistata dalla testata regionale calabrese della Rai, ha espresso in maniera dura le proprie critiche: “Lea è stata rappresentata malissimo, come una ragazza rozza, ma non era così, era molto signorile e parlava benissimo l’italiano”. Le critiche di Marisa Garofalo vanno oltre, fino a toccare l’associazione Libera di don Luigi Ciotti: “E’ stata rappresentata la mia famiglia in maniera vergognosa, ma hanno rappresentato molto bene l’associazione Libera e forse lo scopo era proprio questo. Io purtroppo non riesco più a vedere mia nipote Denise (la figlia di Lea Garofalo, ndr), che so essere gestita dall’associazione Libea. E ogni volta che faccio riferimento a Libera, poi l’incontro con mia nipote salta. Non credo sia solo casualità”. Parole dure, dunque, e ovviamente da rispettare, visto che Marisa Garofalo ha vissuto il dramma di Lea in prima persona.
Dal punto di vista della rappresentazione televisiva, però, il film di Marco Tullio Giordana merita un plauso. È stato un omaggio sobrio, senza fronzoli, asciutto. Non si è vista nemmeno una goccia di sangue, né le solite scene “sparatutto” che di solito infarciscono i film sulla criminalità organizzata. È stata una scelta saggia, proprio per non togliere spazio e attenzione alla figura di Lea Garofalo, che doveva essere al centro della narrazione, più forte dei colpi di pistola, del sangue e dei cadaveri. Un racconto quasi scarno, che proprio per questo, però, ha conservato intatta la carica morale e ideale di questa vicenda. Sull’aderenza alla realtà della figura di Lea, ovviamente non possiamo esprimere un’opinione. Spetta giustamente alla famiglia e a chi l’ha conosciuta. Ma televisivamente, Lea è stato un piccolo gioiello, uno strumento utile a fare capire quanto è normale, umano, anche fragile, il ribellarsi alla criminalità organizzata. Un film che andrebbe fatto vedere nelle scuole perché, signorile o no, Lea Garofalo ne esce come un gigante di coraggio e moralità, modello per i tanti, i troppi che ancora non hanno trovato la forza di ribellarsi.