“Le moschee non sono un problema quando sono luoghi aperti e conosciuti. Al contrario preoccupano i centri di preghiera non regolamentati“. Così il sindaco di Molenbeek, Françoise Schepmans (liberale), paese nell’hinterland di Bruxelles da cui è partito parte del commando che ha colpito Parigi venerdì 13 novembre. A Molenbeek, città tristemenente nota per essere “la culla del jihadismo in Europa”, il 40 per cento dei circa 100mila abitanti è di fede musulmana. Ci sono 24 moschee, 5 chiese cattoliche, 1 chiesa ortodossa e nessuna sinagoga. “Alcuni centri di preghiera sono nati in garage, magazzini e appartamenti privati. Poi con il tempo sono cresciuti e adesso non hanno più le condizioni per esercitare un culto in modo normale”, spiega il sindaco che sostiene come la “radicalizzazione verificatasi nel comune di Bruxelles” sia dovuta a una serie di cause come “la densità della popolazione, problemi di alloggio, famiglie numerose e alta disoccupazione giovanile“. Nella serata di mercoledì, circa 2500 abitanti di Molenbeek sono scesi in piazza per dimostrare solidarietà alle vittime di Parigi e condannare la stigmatizzazione del comune: “Non siamo tutti terroristi”, dice una ragazza col velo. “Gli arabi sono presi di mira ovunque, se guardate negli altri paesi anche li ci sono dei cattivi”, aggiunge un’amica
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