Un magrebino che faceva il cameriere sui Navigli, un imbianchino di Longarone. Ma anche una 18enne tunisina e una 19enne di origine marocchina. Sono alcune delle persone partite dalle due regioni per raggiungere i territori dell'Isis. E dal capoluogo lombardo, l'unico ad avere assistito nel 2009 all'azione di un lupo solitario, in diversi si sono uniti alle milizie radicali
Da Milano a Padova. Da Inzago ad Arzegrande. Comune dopo Comune, il fronte del jihad in Italia sta a nord del Po, in terra padana con casacca leghista. In quei paesi dove i cittadini “perbene” si armano, sparano e (a volte) uccidono i ladri venuti dall’est. Applaude il nuovo Carroccio di Matteo Salvini. Partito distratto che per raggranellare voti cavalca l’emozione e dimentica la realtà con decine di persone che cedono al proselitismo di Daesh (acronimo arabo dell’Islamic State). Italiani o stranieri (da anni residenti nel nostro paese) che a un certo punto decidono di partire per combattere in Siria. Ragazzi e ragazze, giovanissimi, agganciati in Internet, impigliati nella rete social di Daesh che gli investigatori definiscono “carta moschicida”. Eccola allora, l’ultima fotografia del nuovo Lombardo-Venistan per come emerge dagli atti d’indagine degli esperti dell’antiterrorismo e dell’intelligence.
Milano, in quindici partiti per la Siria – Milano, zona Navigli con il trucco rifatto per Expo. Il giovane maghrebino serve ai tavolini di uno storico locale dell’Alzaia. Ne ha girati tanti. Suo fratello, invece, spaccia droga nel vicino suk di via Gola. Mazzette da dieci euro in tasca. Buona parte le invia in Siria per sostenere il Califfato. Il fratello, invece, fa di più. A un certo punto decide di partire per la Siria. Lascia Milano e la sua precarietà. Diventa un combattente. Morirà circa un anno fa nei pressi di Raqqa.
“Non è l’unico – ragiona una fonte qualificata dell’intelligence – a Milano negli ultimi due anni abbiamo notizia di almeno 15 persone che hanno deciso di andare in Siria a combattere”. Uno di loro, mesi fa, ha lasciato il suo appartamento popolare di via Mar Jonio in zona San Siro per diventare un foreign fighter. Quartiere per quartiere, dunque, con una particolare attenzione per le aree toccate dalla linea 2 della Metropolitana milanese. Una tratta che per gli esperti dell’antiterrorismo ha “priorità 1”.
“Questo perché – si ragiona – sia in partenza che in arrivo ha stazioni all’aperto e poi perché tocca zone ad alta densità islamica”. E del resto il capoluogo lombardo è l’unico in Italia ad aver assistito all’azione di un lupo solitario. Era il 2009 quando Mohamed Game, ingegnere libico, tentò di farsi esplodere all’interno della caserma Santa Barbara di piazzale Perrucchetti. Nelle ultime settimane, poi, secondo fonti dell’antiterrorismo, altri due combattenti lombardi sono partiti. Attualmente in tutta la regione c’è un monitoraggio particolare su cinque persone.
“Significa che abbiamo intercettazioni sia telefoniche che telematiche”, spiega una qualificata fonte investigativa. Per tutti attualmente non vi è iscrizione di reato. Il monitoraggio però ha già fotografato alcuni indizi: una vita riservata tutta famigliare e grande attività sul web. “In particolare – ci viene spiegato – guardano prediche jihadiste e video di combattimenti”. Si osserva e si ascolta in attesa di capire “se le persone vogliono partire o attivarsi qui in Lombardia”. Partire come ha fatto Maria Giulia Fatima Sergio, la ragazza di origini campane cresciuta a Inzago in provincia di Milano.
Fatima è in Siria da tempo e con lei avrebbe voluto anche i genitori, bloccati poco prima della partenza dall’indagine del procuratore aggiunto Maurizio Romanelli. È il giugno scorso e dagli atti d’inchiesta, che corre veloce verso il processo, emerge la figura del “coordinatore di volontari” pronti a partire per l’Islamic State. In mano gli investigatori hanno un numero di telefono e un nome presunto. Ma soprattutto decine di tabulati da ogni parte d’Europa, Italia compresa, di persone che vogliono partire e attendono istruzioni.
La rete moschicida del Califfo nel nord-Est – Ben a nord del Po, il Veneto, più della Lombardia, rappresenta la terra di Leghistan. Oggi sono in corso 15 indagini per terrorismo. Secondo un report della polizia francese Venezia rappresenta una via d’ingresso in terra transalpina. I terroristi, confondendosi con i migranti, potrebbero salire sul Thello, il treno che ogni giorno parte dalla Laguna per la Gare de Lyon. Proselitismo. Anche nelle scuole. Nel luglio scorso il sistema informatico del liceo scientifico Nievo di Padova è stato hackerato.
Sulla home page del sito è comparsa la scritta “Maroccan Islamic Union-Mail”. Fino all’estate scorsa, invece, Meriem Rehaily 19enne di origini marocchine, frequentava l’istituto De Nicola di Piove di Sacco, poi è sparita nel nulla. Ai genitori ha detto: “Vado al mare con le amiche”. Secondo le indagini dell’antiterrorismo è partita dall’aeroporto di Bologna per arruolarsi nell’Is. Partita anche la tunisina di 18 anni, residente a Treviso, Sonia Khediri.
Stessa strada seguita dall’imbianchino bosniaco Ismar Mesinovic che viveva a Longarone. Mesinovic è partito alla fine del 2013 ed è morto ad Aleppo. Prima di arruolarsi aveva ascoltato le prediche jihadiste dell’imam Hussein Bosnic. Nel nord-Italia il Daesh segue un fronte preciso: nuovi combattenti e lupi solitari come il tunisino Lasaad Briki che progettava di colpire l’aeroporto militare di Ghedi e su Twitter scriveva: “Siamo nelle vostre strade, i nostri coltelli sono pronti alla macellazione”.
Da Il Fatto Quotidiano del 19 novembre 2015