A distanza di una settimana dagli attacchi a Parigi, di opinioni a caldo se ne sono sentite fin troppe. A noi di Zeppelin piace prendere tempo per riflettere sugli avvenimenti e darne un parere che sia meno condizionato possibile (seppure sempre soggettivo).
Ecco 5 opinioni dei nostri autori.
Sono 70 anni – fortunatamente – che noi cittadini europei non entriamo in contatto diretto con la realtà della guerra. Non ne conosciamo l’intensità e non sappiamo come riconoscerla. Attraverso la dialettica dei media ne seguiamo le vicende lontane in versione light. Lo stesso termine Guerra è divenuto quasi desueto, sostituito artificiosamente con il suo appellativo contrario, Pace (missioni di). La guerra di oggi è asimmetrica nella modalità (eserciti regolari contro gruppi terroristi) e nella percezione.
Gli attacchi a Parigi portano sotto i nostri occhi scene alle quali non siamo più abituati. Ci sentiamo vulnerabili e ci appelliamo all’istinto compulsivo di chi nel terrore è disposto a cedere tutto (spesso i propri diritti) sul’altare della sicurezza. Ma nessuna guerra non si materializza dal nulla. L’Italia stessa è impegnata in diversi scenari di conflitto. E il fatto che il numero delle vittime del terrorismo in Occidente sia esiguo rispetto al resto del mondo, non deve farci dimenticare che non siamo immuni alla violenza del nemico soltanto perché disponiamo di capacità belliche tali da pensare di poterlo soverchiare guardando la diretta dal salotto di casa solo quando ne abbiamo il tempo.
Come ricorda il politologo e stratega americano Edward Luttwak, la vittoria dà conferme, la sconfitta insegna. Quella di Parigi, per noi, rappresenta sicuramente una sconfitta. Ora speriamo riesca ad insegnarci qualcosa…
Paolo
Parigi non è uno spartiacque, è un game changer. I leader delle nazioni europee potrebbero prendere decisioni militari che mai avrebbero preso solo 2 mesi fa. La prova è stata il discorso di Hollande nella cornice simbolica di Versailles, con il parlamento di Francia in seduta comune. In quella sede ha statuito che la Francia è in guerra, ed ha chiamato gli alleati, la Nato, l’Unione Europea, a raccolta. Le strategie militari nel Mediterraneo cambieranno, e va sperato che la scelta degli obiettivi sia ragionata e realistica.
Lorenzo
Gli attacchi di Parigi sono solo l’ultimo tassello di una scia di sangue cominciata in Siria il 15 marzo 2011. Focalizzarsi sul singolo tassello e voler risolvere a suon di bombe una conseguenza è inutile se non se ne affrontano anche le cause: non solo i finanziamenti di cui Isis gode, ma anche il caos siriano che lo ha generato. Non si può ignorare che le atrocità del governo siriano per reprimere le manifestazioni di piazza abbiamo favorito l’ascesa di Isis in Siria. Ignorarlo destina ogni tentativo di risolvere il problema al fallimento. La nostra solidarietà, oltre che alle vittime parigine, va anche a quelle degli attacchi terroristici di questi giorni in Siria, Libano, Turchia, Kenya, Egitto. Per loro in pochi si sono indignati, mettendo a nudo l’ipocrisia di un mondo che non dà lo stesso valore alla vita umana, il che è pericoloso forse tanto quanto il terrorismo.
Samantha
Le esplosioni rimbombano nello Stade de France, gli spari ammutoliscono gli Eagles of Death Metal al Bataclan, e nel cuore dei Francesi si insinua il terrore. Colpiti in casa propria, dalla mano codarda che colpisce il civile, i cittadini europei si scoprono vulnerabili, ed un morbo inizia a diffondersi: il sospetto verso lo straniero.
Cosa seguirà gli eventi di Parigi? Chi può dirlo con certezza? La sola cosa sicura è che le sirene dell’odio inizieranno a suonare, gli apprendisti stregoni della paura sono già all’opera.
La paura è l’elemento fondamentale per prendere decisioni irrevocabili.
Beato chi riesce a non averla, beato chi ha l’antidoto al veleno del terrore. Questi eletti sono in pochi, e purtroppo non saranno – neanche loro – immuni ai colpi ciechi del terrorismo.
Marco
Non ritengo sia un atteggiamento ipocrita quello di chi, nell’Europa di Bruxelles, si sente maggiormente coinvolto dal dramma di Parigi piuttosto che da quello di Beirut. Noi non ci preoccupiamo per tutte le persone allo stesso modo. Ci interessiamo dell’altro, sulla base di chi siamo e di quello che è il nostro vissuto. Rigetto però l’idea che “ribadire l’ovvio” sia sufficiente; oggi non basta più con buona pace di George Orwell che invece lo riteneva l’unico compito delle persone intelligenti sue contemporanee.
Mi piacerebbe che si sentisse l’eco di voci che ricordino come la compassione sia una facoltà del cuore, che se aperto, permette di abbracciare l’Altro da sé, al di là, delle differenze.
Al di là dell’ennesima ressa da stadio che si è creata sul tema, tra chi a parole si interroga su quanto debba essere vicina una strage per toccarci come esseri umani e chi appunto ribadisce l’ovvio ovvero che l’essere umano è etnocentrico, non si distinguono voci che invitino ad avvalersi delle facoltà del cuore. «Sede dell’amore è il cuore, e il cuore è oro puro. Esso è perla nell’oceano del petto, rubino nella miniera della comprensione» [Sam’ānī]
Violenza “intelligente” – le bombe francesi e eventualmente del carrozzone europeo che si avvia ignaro su territori inesplorati (e con motivazioni del tutto dubbie) – in risposta alla violenza indiscriminata. Neanche una strategia, semplicemente una rivalsa che – tra le altre cose- tralascia di considerare l’equazione lineare: più bombe più disperati in fuga dalle loro terre e diretti all’interno di uno spazio europeo abitato da chi non sembra interessato a patire con “la specie”. Questa è la tragedia, la mancata consapevolezza tra ciò che provochiamo e che subiamo.
Eliza