Sempre nell’ambito di quel cubitale forse che deve precedere ogni discorso sulle soluzioni alla guerra, al terrorismo, all’Isis e dintorni, è forse il momento di discutere seriamente del Giubileo della Misericordia indetto da papa Francesco tra l’8 dicembre 2015 e lo stesso giorno del 2016. Se, come appare scontato dalle parole del Pontefice, l’Anno Santo straordinario sarà confermato, si prevede che in 12 mesi si riverseranno su Roma almeno 10 milioni di pellegrini: quasi un milione al mese. E Roma apparirà agli occhi del mondo, per quel lunghissimo periodo, non solo e non tanto come la capitale dell’Italia, ma come il cuore del cattolicesimo mondiale. Con una serie di eventi religiosi che diventeranno altrettante occasioni per i terroristi jihadisti di accaparrarsi il palcoscenico perfetto, su scala mondiale, per le loro azioni sanguinarie. Una ribalta infinitamente più eclatante di uno stadio, di una sala concerti, di un ristorante, della redazione di un giornale satirico a Parigi; ma anche di una spiaggia della Tunisia o di un aereo russo in volo sul Sinai. La stessa ribalta si rivelerà molto appetibile anche per tutti i pazzi, i mitomani, i seminatori di panico, gli impresari della paura che approfittano della psicosi collettiva per diffondere falsi allarmi.
Era vero o era falso l’allarme-kamikaze allo stadio di Hannover che ha indotto le autorità della Germania ad annullare un’amichevole di calcio alla presenza di Angela Merkel? Non lo sapremo mai. Sappiamo che erano falsi gli allarmi-bomba che per due volte in due giorni, nel dubbio, hanno indotto le autorità italiane a chiudere la Metropolitana di Roma, eccezionalmente funzionante. Dall’8 dicembre, per 365 giorni, chicchessia potrà fare una telefonata anonima per segnalare una bomba o un kamikaze in piazza San Pietro o in un’altra basilica giubilare. E, in questo clima, chi si assumerà la responsabilità di giudicare falso l’allarme senza evacuare ogni volta la piazza o la chiesa? Se già è difficile scongiurare veri attacchi terroristici con misure straordinarie per un anno intero in una città vasta e popolosa come Roma (fra residenti, turisti e pellegrini), combattere quelli falsi, cioè distinguere in tempo reale gli allarmi fondati da quelli infondati, è impossibile. Contro la psicosi e il panico che trasformano pure lo scoppio di un petardo o di una lampadina nel fuggifuggi generale, abbiamo ancor meno armi di difesa che contro i kamikaze.
Non stiamo, con ciò, dicendo con assoluta certezza che va annullato il Giubileo.
Non abbiamo né i titoli né le competenze per farlo. Stiamo dicendo che chi ha quei titoli e quelle competenze, cioè il governo italiano, dovrebbe discuterne seriamente con le forze dell’ordine e d’intelligence senza partiti presi. E poi dibatterne pubblicamente in Parlamento. E infine comunicare la scelta fatta – qualunque essa sia – agli italiani e ai fedeli di tutto il mondo che hanno prenotato o intendono prenotare un soggiorno a Roma, spiegando che cosa rischiano in concreto e fino a che punto le nostre autorità sono in grado di garantire la loro incolumità. Senza nasconderci nulla.
L’Fbi sostiene che l’Isis, o chi per essa, avrebbe nel mirino San Pietro a Roma, il Duomo e la Scala di Milano. Anche senza l’Fbi, ci potevamo arrivare anche noi, magari aggiungendo il Colosseo, la torre di Pisa e piazza San Marco a Venezia. Siccome però di questi allarmi ne arriveranno due al giorno, non si può tenere la gente in perenne crisi di nervi. Serve un’operazione verità. Oggi il Fatto ha scoperto che i nostri agenti di polizia hanno quasi tutti il giubbotto antiproiettile scaduto, cioè meno sicuro, perché gli ultimi bandi di gara prima dei tagli selvaggi risalgono al 2004-2005 e ogni dieci anni i giubbotti vanno sostituiti perché deteriorati. Aggiungiamo lo stato comatoso delle auto, delle armi, degli equipaggiamenti e delle tecnologie sempre denunciato dai sindacati di polizia e sempre inascoltato, e il quadro è ben poco rassicurante, a prescindere dalle capacità professionali delle forze dell’ordine e dalle sbandierate promesse di “più fondi alla sicurezza” (che, anche se si traducessero in fatti concreti, sortirebbero i primi effetti fra molti mesi). Non ci sarebbe nulla di male se il governo dicesse che, alla luce dell’ultima escalation, non se la sente di garantire la sicurezza del Giubileo. O che vuole tenersi le mani libere per la guerra all’Isis senza il timore di esporre Roma a rappresaglie come quelle che han colpito Russia e Francia.
Il Giubileo è un evento religioso che spetta al Papa annunciare e anche, eventualmente, revocare. Ma coinvolge uno Stato sovrano diverso dal Vaticano, chiamato Italia, che dev’essere libero di decidere in autonomia, in base a criteri diversi da quelli religiosi. Qui non si tratta di “far vincere i terroristi rinunciando alle nostre abitudini e ai nostri valori”: significa garantire un bene supremo come la vita di milioni di persone. Si potrebbe, per esempio, suggerire un Giubileo straordinario anche nelle modalità: un Giubileo “a distanza”, da celebrare ciascuno in casa propria attraverso la televisione e la Rete, avvertendo i pellegrini intenzionati a raggiungere Roma che lo fanno a proprio rischio e pericolo. Il Papa è un uomo coraggioso, al punto di rifiutare le auto blindate e le misure eccezionali di protezione che gli vengono offerte. Ma lo stesso eroismo non si può chiedere a milioni di persone. E, siccome le vite dei pellegrini sono nelle mani delle polizie italiane, non delle guardie svizzere, è il governo italiano che deve parlare. Dicendo, possibilmente, tutta la verità.
il Fatto Quotidiano, 20 novembre 2015