PARIGI – “Ascoltate: sta dicendo che l’Islam è religione di pace. Chi uccide un solo uomo uccide l’umanità intera”. Tariq è il dipendente della libreria all’ingresso della moschea grande di Parigi. “Fate silenzio, ascoltate. Dice che Dio condanna questo orrore”. La preghiera del venerdì è preceduta dall’intervento del filosofo Aiwaz dell’Istituto Al-Ghazali e lui alza la radio nel locale perché tutti i clienti possano sentire. Poi si mette a tradurre l’arabo in tempo reale per gli stranieri: “Dice che l’umanità deve rimettersi in causa, siamo in un periodo di anarchia che era già stato predetto dalle sacre scritture. Ma ora dobbiamo ripensare tutto”.
A una settimana dalla strage che ha sconvolto la capitale, le moschee sono blindate. In un primo momento la comunità aveva indetto una manifestazione per condannare gli atti dei terroristi, ma per motivi di sicurezza è saltata. Fedeli, giornalisti e passanti per arrivare all’ingresso devono superare due cordoni di polizia e controlli con il metal detector. Sul tetto le forze di sicurezza controllano chiunque si avvicini. “Non avevamo mai visto una cosa simile”, commentano i fedeli. “Nemmeno dopo gli attacchi di Charlie Hebdo”.
La “grande Mosquée de Paris” sorge a pochi passi dal quartiere Latino. Nella zona ci sono uffici e università e in tanti vengono a pregare per la pausa pranzo. “Qui ci sono solo persone erudite”, dice Ridah, 75 anni e originario della Tunisia, “non abbiamo mai sentito discorsi di estremisti. Io frequento questo posto da 28 anni e so che loro qui non vengono. I radicali sono stranieri: vengono da Arabia Saudita e Siria, ma bisogna dire che sono sempre meno”.
La preghiera dura un quarto d’ora. I fedeli escono in silenzio e affrontano con malumore le domande della stampa di mezzo mondo. “L’Islam è pace, l’Imam ci ha ripetuto questo”, dice Ghada, “i terroristi non hanno niente a che vedere con noi, con la nostra religione”. 20 anni, è arrivata dall’Algeria nel settembre scorso per studiare a Parigi. “Avevo una pausa dai corsi oggi e sono corsa qui. Oggi era importante partecipare”. Ghada indossa il velo e dopo gli attentati la vita è cambiata anche per lei: “Quando sono in metropolitana i ragazzi mi guardano e hanno paura. Vorrei avvicinarmi e dirgli che non sono come loro. Anzi che i terroristi non sono come noi musulmani”.
L’Imam durante la preghiera ha detto che “è vietato per un musulmano fare quello che hanno fatto i terroristi”. “Quello che è successo”, dice Tajad, nato in Tunisia e nella capitale da 20 anni, “è catastrofico. La nostra comunità lo ha sempre rifiutato e condannato, continueremo a farlo con forza. L’Islam è innocente: scrivetelo e ditelo a tutti”.
L’ingresso della moschea è presidiato da uomini con il kalashnikov. A un certo punto un ragazzo tira fuori la bandiera della Francia e si mette a fianco delle forze dell’ordine. “Tutti a chiedere a noi di prendere posizione”, dice Majid che è arrivato dal Chad 40 anni fa come rifugiato, “ma il problema è la politica. Hollande ha fatto campagne di guerra in Libia e Siria senza nessun risultato. La loro incompetenza ha prodotto tutto questo. Noi siamo pronti a condannare quelle persone, ma i politici sono pronti a mettersi in discussione?”. Passano dieci minuti e la piazza si svuota. Restano solo le telecamere a inquadrare una strada deserta. Nessuno ha più voglia di parlare.