“In considerazione del lungo periodo trascorso e in ragione che ad oggi nessun intervento è stato effettuato sul bene, la scrivente sezione di Italia Nostra fa voti alle S.L.L. ognuna per le proprie competenze perché siano individuati e adottati i necessari provvedimenti atti al recupero del bene e alla sua successiva fruizione… Ciò potrà scongiurare che tra qualche tempo che la Chiesa di S. Pietro dei Samari abbia la stessa sorte che ha avuto la Masseria fortificata dell’Itri di Gallipoli che, per incuria e abbandono, pochi anni fa è andata completamente distrutta”.

Scrive così Marcello Secli, il presidente della Sezione Sud Salento di Italia Nostra in una lettera indirizzata a Guido Aprea, commissario prefettizio di Gallipoli e Michele Emiliano, presidente della giunta regionale della Puglia, a Maria Piccarreta, soprintendente per le Belle Arti e paesaggio per le province di Lecce, Brindisi e Taranto e Luigi La Rocca, soprintendente per i Beni Archeologici della Puglia. Un appello disperato. L’estremo tentativo di accendere l’interesse sulla chiesa del XII secolo che si trova a breve distanza dal margine della Ss. 274 da Gallipoli per Taviano. Tanto prossima al margine stradale da avere un cordone di immondizie che la lambiscono. Un monumento straordinario che continua a languire in un abbandono che sembra inarrestabile. La chiesa che prende il nome dal vicino fosso dei Samari e nella quale, secondo una leggenda, San Pietro proveniente dall’Oriente avrebbe celebrato una messa prima di riprendere il cammino, trasformata in un involucro.

L’esterno, rimaneggiato da interventi successivi che ne hanno alterato la forma originaria, ha subito diversi crolli. Segni evidenti della trascuratezza riservatagli. Trascuratezza alla quale bisogna ricondurre anche i lavori di messa in sicurezza realizzate nel 2009 dai proprietari dell’immobile, dopo la sollecitazione della Soprintendenza. Una serie di ponteggi funzionali alla messa in opera di una copertura in lamiere metalliche che avrebbero dovuto essere provvisorie. L’interno, dopo essere stato utilizzato per decenni come ricovero per animali e attrezzi agricoli, è completamente spoglio. Nella navata manca il pavimento, mentre sulle pareti, imbiancate, non sembra conservarsi traccia di affreschi. Nulla nell’abside, niente nelle due nicchie laterali.

“Le diverse amministrazioni comunali succedutesi nel corso di questo decennio si sono di fatto disinteressate del problema e non hanno tentato minimamente di intraprendere qualsiasi iniziativa perché i proprietari del bene predisponessero adeguati programmi di intervento per il recupero dell’immobile e la sua fruizione, anche in ragione del fatto che il bene ricade nel perimetro del parco naturale regionale Punta Pizzo-Isola di Sant’Andrea”, si legge nel documento di Italia Nostra. Se si fosse trattato di solo disinteresse da parte della locale amministrazione non sarebbe andata così. Già, perché sembra esserci stato qualcosa di molto di più. Una colpevole volontà di offendere quel monumento. Come chiamare altrimenti l’autorizzazione nell’estate 2013 ad utilizzare l’area intorno alla chiesa come parcheggio? Area sosta per autobus e autovetture segnalata da apposito cartello. Utilizzo che tradisce incapacità diffuse. Non solo dell’amministrazione comunale.

Dopo la cessione in comodato d’uso gratuito da parte di Isabella e Emanuele Scarano, proprietari dell’immobile al Comune di Gallipoli, perché insieme alla Provincia di Lecce provvedesse a scongiurare nuovi crolli, era lecito aspettarsi qualcosa di meglio. La speranza, quella che s’intervenisse sull’immobile dopo aver elaborato un progetto complessivo. Invece niente. Forse proprio per questo quel luogo di identificazione culturale continua la sua folle corsa verso la distruzione. Non solo per mancanza di risorse. Così la chiesa è diventata solo un punto di riferimento. Un toponimo, utile per raggiungere agriturismo e b&b posti nelle vicinanze. Un triste epilogo per uno dei capolavori architettonici del Salento. Difeso, a quanto sembra solo dalle associazioni locali.

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