“I can’t remember”. Il nuovo straordinario capitolo sul personaggio di Sherlock Holmes firmato Bill Condon è riassumibile in questa semplice battuta. Un assillante e ripetuto vuoto di memoria che l’anziano investigatore più celebre al mondo rivive oramai ottuagenario davanti alla carta bianca di un romanzo quasi biografico che non riesce a scrivere. Del resto era stato il fidato dottor Watson ad aver inventato l’icona, il mito, la leggenda dell’infallibile e sagace detective, scrivendo di proprio pugno i racconti a puntate che lo resero famoso pubblicati su un quotidiano. Come aveva inventato perfino l’indirizzo fasullo (221 b di Baker Street), almeno secondo la versione presente in Mr. Holmes – Il mistero del caso irrisolto, nelle sale italiane grazie a Videa.
L’idea di Condon, tratta dal romanzo A Slight Trick of the Mind di Mitch Cullin, è quella di lavorare non tanto sulla perspicacia dell’investigatore, dato peraltro rintracciabile in un paio di piste di brillanti detection nel film, quanto sulla possibilità che Sherlock (un superbo Ian McKellen) risulti impreciso nel ricordo, che i dettagli fisici e materiali di un presunto assassino o cliente, o della più prosaica meta urbana raggiunta di nascosto dalla propria governante, finiscano per evaporare nello scorrere nebuloso del tempo.
Siamo nel 1947 tra le mura gentili di una casa di campagna a pizzo sulle bianche scogliere. Un Holmes ingobbito e stanco, quasi vicino alla morte, prova a ricostruire le vicende carta penna e calamaio di quell’ultimo caso, una donna misteriosa e sfuggente, che lo fece smettere di lavorare per sempre. Ad aiutarlo in questa costante riflessione sul proprio recondito passato, ci si mette il figlio dodicenne (Milo Parker) della governante (Laura Linney) che lo ospita. La dialettica tra anziano e ragazzino è quanto di più delicato e arguto l’abusato detective londinese abbia vissuto da personaggio giallo in 150 anni da mito. Un rapporto tutto intessuto di metafore e consigli che i due quasi si rimbalzano l’un l’altro. Mentre il ricordo che si dipana a tratti, che si rivela cinematograficamente deviando perfino in una meta esotica come il Giappone del post bombardamento atomico su Hiroshima, diventa la soluzione della detection narrativa di un film che parla di solitudine e di amore vissuto e mancato, di una intimità abbozzata e penetrante per la algida e corrucciata star dei casi irrisolvibili.
Nella lunga trafila degli Holmes rievocati e resuscitati al cinema, dopo la cifra wuxiapian nel notevole riadattamento di Guy Ritchie (Sherlock Holmes, 2009) con Robert Downey Jr., e rimescolando le varianti incredibilmente comiche di Senza indizio (Thom Eberhardt, 1988 – con Michael Caine nella parte di Holmes) e decadenti di Vita privata di Sherlock Holmes (Billy Wilder, 1970), Condon mette da parte le velleità commerciali di due imbarazzanti episodi della saga di Twilight e, tenendo ben saldo il timone della scrittura e della macchina da presa come filtro disvelante, regala una versione deluxe del mito prossimo alla fine. Un allure retrò, da cinema un po’ rallentato e meditabondo, per un risultato finale di classe e prestigio ricordandosi di quel Demoni e dei che aveva aperto la strada ad una collaborazione proprio con Ian McKellen. Il Gandalf/Magneto che in tarda età ha ritrovato una seconda giovinezza professionale è un Holmes crepuscolare, irraggiungibile e definitivo. In poche parole Mr. Holmes è un film mperdibile.