A scriverlo nero su bianco è la Corte Costituzionale, con la sentenza depositata lo scorso 19 novembre: i processi contabili ai consiglieri regionali emiliano romagnoli della passata legislatura, e relativi agli illeciti riscontrati nei rendiconti del 2012, “sono legittimi”. Sono state respinte quasi integralmente le motivazioni iscritte nei ricorsi per conflitto di attribuzione tra enti presentati dagli ultimi due governatori della Regione Emilia Romagna, i democratici Vasco Errani e Stefano Bonaccini. Che, rispettivamente nel 2014 e nel 2015, si erano rivolti alla Consulta per contestare gli inviti a dedurre e le citazioni in giudizio inoltrate ai capigruppo e ai consiglieri regionali in carica tra il 2010 e il 2014 dalla Procura regionale della Corte dei conti, che aveva rilevato irregolarità e carenze nelle spese messe a rimborso dagli eletti nel 2012.
Secondo la Regione quegli atti erano stati la manifestazione di un “illegittimo esercizio di potere” da parte della Procura contabile, “un inammissibile sindacato di merito sulle scelte di spesa” dei gruppi. “Non compete allo Stato, e per esso alla Procura regionale della Corte dei conti – recita il ricorso presentato nel 2015 dalla giunta Bonaccini – il potere di citare in giudizio i capigruppo e i consiglieri regionali in relazione alle spese relative all’esercizio 2012, sovrapponendo autonomi e differenti apprezzamenti alle valutazioni di merito riservate agli organi regionali”.
Di parere diverso, però, è la Corte Costituzionale, che nella sentenza del 19 novembre ha precisato che spettava proprio alla Procura regionale contabile il compito di “adottare gli atti di citazione”, emessi a partire dal 3 dicembre 2014: “I capigruppo dei consigli regionali, anche se sottratti alla giurisdizione di conto – spiega la Consulta – restano assoggettati alla responsabilità amministrativa e contabile (oltre che penale, ricorrendone i presupposti)”. A prescindere dal fatto che i rendiconti siano stati approvati dai revisori della Regione Emilia Romagna, oppure, come avveniva prima dell’approvazione della legge Monti, dall’ufficio di presidenza: “Il voto dato in tali sedi – spiega infatti la Consulta – è solo una ratifica formale di spese già effettuate”. Nullo, invece, l’invito che il procuratore Salvatore Pilato inviò al governatore dell’epoca a recuperare le somme non contestate perché esigue.
A questo punto, quindi, potrà ripartire il processo in Corte dei Conti, sospeso a ottobre proprio in attesa che la Consulta si pronunciasse sul conflitto di attribuzione sollevato dalla Regione. Il versante contabile, cioè, delle indagini sui rendiconti, che riguarda 13 tra capigruppo e consiglieri in carica tra il 2010 e il 2014.
Parallelamente resta aperto anche il fronte penale dell’inchiesta sulle “spese pazze”: il 17 dicembre, infatti, inizierà il processo relativo alla maxi inchiesta per peculato condotta dalla Procura della Repubblica sui rimborsi dell’ultima legislatura, 41 rinvii a giudizio e qualche assoluzione in udienza preliminare. Intanto, però, si indaga anche sul periodo 2005–2010, inchiesta che ha già portato ai nomi dei primi indagati.