Con oggi, un’altra primula rossa va ad aggiungersi all’elenco dei terroristi più pericolosi. Mokhtar Belmokhtar, algerino, è il fondatore di Morabitoun, il gruppo jihadista che ha rivendicato l’assalto all’hotel Radisson di Bamako.
Una figura sfuggente – più volte dato per morto (l’ultima lo scorso ottobre) e poi ricomparso – che i francesi conoscono bene perché ritenuto la mente di molti dei sequestri di loro connazionali nel Sahel. Chi lo conosce meglio di altri, però, è il giornalista di origini mauritane Lemine Ould M. Salem, che a lui ha dedicato un libro uscito un anno fa, dal titolo emblematico: “Il Bin Laden del Sahara”. Il libro-inchiesta è incentrato su di lui, noto anche col soprannome di “guercio”, o anche come “Mr Marlborò” per i numerosi traffici in cui era coinvolto, tra cui quello di sigarette, ma tratteggia anche le figure di altri jihadisti di questa galassia meno nota ma non meno pericolosa. L’autore dispone di documenti preziosi raccolti durante l’inchiesta, ma soprattutto di testimonianze dirette, raccolte sul campo in mesi di lavoro. Salem è uno dei pochi che si è recato nel nord del Mali nel periodo in cui era in mano ai jihadisti, nel 2012. È a lui che dobbiamo molte delle informazioni a nostra disposizione.
Classe 1972, a 19 anni Belmokhtar si unisce ai mujaheddin in Afghanistan. Al suo rientro, durante la guerra civile algerina, fonda la Brigata dei martiri, affiliata al GIA, il Gruppo Islamico Armato che insanguina il paese. Dopo un riavvicinamento ad Al Qaeda, il GIA si trasforma in Gruppo Salafita per la predicazione e il combattimento, infine diviene Al Qaeda nel Maghreb Islamico (AQMI), nel 2007. Nel 2012, Belmokhtar crea il suo movimento, la Brigata dei Molathamun. Nell’agosto del 2013, il gruppo si fonde con il Movimento per l’unicità e la jihad nell’Africa dell’ovest (MUJAO) e dà vita a quello che oggi è Al-Mourabitoune (“Le Sentinelle”), inserito nella lista nera delle organizzazioni terroristiche dagli Stati Uniti.
Mokhtar Belmokhtar si muove su un sottofondo di gruppi armati e formazioni jihadiste alleate o in lotta fra loro, affiliati ad Al Qaeda o a ISIS, in un territorio enorme dai confini porosi, per non dire inesistenti. Ad Al-Mourabitoun si possono ascrivere numerosi atti di sangue, dall’assalto al sito gasiero di In Amenas del gennaio 2013, nel sud dell’Algeria, in cui furono uccisi 38 ostaggi, in gran parte occidentali, passando per attacchi terroristici tra cui quello compiuto a marzo di quest’anno, sempre a Bamako, contro il bar La Terrasse, che ha provocato cinque morti, e quello di agosto contro l’hotel Le Byblos a Sevare, nel centro del Mali. Sulla sua testa pende una taglia degli Usa da cinque milioni di dollari.
A ottobre, in un video, un esponente di al-Qaeda ha confermato la morte di Belmokhtar. Il terrorista, come riferito anche da fonti del Pentagono e dal governo libico, sarebbe rimasto ucciso in un raid aereo americano lo scorso giugno. Mancano, tuttavia, prove dirette della sua morte. A maggio lo stesso Belmokhtar aveva respinto il giuramento di fedeltà all’Is fatto dal cofondatore di ‘Mourabitoun’, Adnan Abu Waleed al-Sahrawi, mostrando una divisione all’interno dell’organizzazione. Al-Sahrawi aveva chiesto ai jihadisti di Mourabitoun di seguire l’autoproclamato califfo dell’Is, Abu Bakr al-Baghdadi. Il fatto che l’attacco all’hotel sia avvenuto in coordinamento con una cellula di al-Qaeda nel Maghreb islamico (Aqmi) fa ritenere che abbia prevalso la linea anti-Is.
Le altre sigle della galassia jihadista saheliana
Ansar Dine – Il nome significa “i partigiani della religione (islamica)”. È un movimento di combattenti tuareg che si sono uniti dopo essere rientrati in Mali dalla Libia dove combattevano a fianco di Muammar Gheddafi. Il leader del gruppo, Iyad ag Ghali, è stato uno degli organizzatori della rivolta tuareg negli anni ’90 e nel marzo del 2012 ha partecipato all’insurrezione nel Mali. L’obiettivo del movimento, il cui nome completo è Harakat Ansar al-Dine (Movimento per la Difesa dell’Islam) è imporre la Sharia in Mali. È ritenuto legato ad al-Qaeda nel Maghreb Islamico (Aqmi) e per questo nel 2010 Iyad ag Ghali è stato espulso dall’Arabia Saudita dove il governo di Bamako lo aveva inviato nel 2007 come consigliere culturale.
Ma è nel marzo del 2012 che Ansar Dine si impone, prendendo il sopravvento tra i gruppi di tuareg che si erano lanciati alla conquista di Timbuctu nel nord del Mali, mettendo in fuga la popolazione e imponendo a chi resta la sharia (come narra il recente film “Timbuctu”). Ed ecco la distruzione dei mausolei e la furia iconoclasta che ha portato via monumenti storici preziosissimi. Una mossa che fece scattare l’intervento francese che li costrinse ad abbandonare il “gioiello del deserto” nel gennaio del 2013.
Movimento nazionale di liberazione dell’Azawad (Mnla) – È un’organizzazione militare e politica maliana fondata il 16 ottobre 2011. Durante i colloqui di pace con Bamako è confluita nel Coordinamento dei movimenti dell’Azawad. A giugno del 2014 ha firmato un accordo di pace con il governo del Mali. Dichiara di rifiutare l’estremismo e di voler raggiungere i propri obiettivi con la negoziazione. Il movimento, di ispirazione laica e democratica, ha tra i suoi obiettivi anche la lotta ad al-Qaeda.
Al Qaeda nel Maghreb Islamico (Aqmi) – Fino al 2005 si chiamava “Gruppo Salafita per la Predicazione e il Combattimento” ed era considerato una cellula della rete di Osama Bin Laden in Africa del nord. Il leader fondatore, l’algerino Amari Saifi, detto anche Abderrezak Le Parà, è stato catturato nel maggio 2004 nel nord del Ciad, al confine con la Libia. Il comandante in capo dell’Aqmi è l’algerino Abdelmalek Droukdel, nome di battaglia Abu Musab Abdel Wadoud.
Movimento per l’unicità e il Jihad in Africa occidentale (Mujao) – Nato a metà 2011 a seguito di una scissione da Al-Qaeda nel Maghreb Islamico, è responsabile del rapimento della cooperante italiana Rossella Urru e di suoi tre colleghi spagnoli nell’ottobre 2011 in un campo sahraui a Tinduf, in Algeria. Molti dei suoi miliziani sono tuareg, ma il leader è il mauritano Hamada Ould Mohamed Kheirou, nei confronti del quale è stato spiccato un mandato di arresto internazionale.