Società

Distrofia muscolare di Duchenne: breve decalogo delle parole e frasi da non dire a un disabile carrozzato

È in arrivo al binario 6 un altro post di questo blog, diretto – anzi incentrato – sulle parole o frasi da non dire in presenza (ma anche in assenza) di un esemplare di disabile carrozzato. Si ricorda ai “passeggeri” che su questo blog si parla di disabilità, con il suo carico di tristezza, e di una grave malattia come la distrofia muscolare di Duchenne, patologia della quale ho “acquisito” i diritti: quindi addio voglia di ridere e di vivere.

Comincio premettendo che in vita mia non ho mai messo ruota (“piede” risulta incompatibile con la mia condizione di sofferente) nel Paese più liberale del mondo – gli Stati Uniti – e che, di conseguenza, sul suolo a stelle e strisce non ho potuto commettere omicidi. Spero che sia chiaro: io non poggio le mie deliziose natiche su una “sedia elettrica”, ma su di una carrozzina elettrica. Infatti, quando le persone (solitamente anziani stanchi di osservare i lavori per strada) mi fermano per strada per informarsi sul mio mezzo di locomozione concludono spesso il loro intervento affermando: “Però è comoda la sedia elettrica, così almeno puoi essere autonomo”. “Sì, è comoda. Almeno finché non mi frigge”. E quando faccio notare la differenza, di solito controbattono sostenendo che, in effetti, io non potrei infrangere il quinto comandamento (il sesto per la Bibbia), e a questo punto mi si attiva la pignoleria: è vero che non posso uccidere con le mie stesse mani, ma posso esserne il mandante (si, tengo a rivendicare questa possibilità: questione di orgoglio). Sicché mi trovo costretto a fare l’esempio di Ahmed Yassin – tra i fondatori, nonché ex leader di Hamas -, paraplegico e cieco, di fatto una “strage“ umana, che a sua volta organizzava stragi e attentati: ora capite che anch’io potrei diventare pericoloso (questo, al solo scopo di dimostrare che disabile non è sinonimo di buono).

Dopo questa prima e doverosa precisazione, passiamo a trattare il verbo “portare”, troppo spesso utilizzato a sproposito in relazione a un esemplare di disabile. Per esempio se sostengo dinnanzi al bipedus ignorantis che la sera esco con gli amici, il suddetto facilmente mi chiederebbe: “Dove ti portano di bello?”, per poi affondare: “Sono proprio bravi i tuoi amici, ti portano anche in giro!”. Ebbene, quest’ultima frase potrebbe sì farmi cambiare mezzo per una più bruciante sedia elettrica. Perché, primo: non sono un oggetto che viene portato; secondo, il fatto che non cammino non significa che non abbia capacità decisionali: posso scegliere anch’io il posto in cui andare; terzo, le persone che mi frequentano non lo fanno per pietà, semplicemente perché mi trovano noioso e molto antipatico. Così, a questo punto mi tocca giocare la carta Franklin Delano Roosevelt, anch’egli collega di pigrizia (nonostante la vergogna lo spingesse a fare di tutto per celare la sua condizione, proprio come il sottoscritto): tuttavia credo che il 32º presidente americano, benché disabile, abbia dovuto prendere qualche decisione, anche se di poco conto (certamente non camminando non poteva intraprendere iniziative importanti, quali il New deal).

Ne approfitto per sfatare un altro tabù: all’esemplare di disabile è consentito andare in giro da solo, questo non costituisce affatto reato, e soprattutto non bisogna stupirsi se lo fa: “Davvero vai in giro da solo? Ma che bravo che sei!”. Sorvolando sul fatto che non ho 3 anni, quindi il “ma che bravo che sei” non rende il sottoscritto un bambino contento, ma bensì un adulto propenso a uccidere con le sue stesse mani (altro che mandante). Questo vale anche per alcuni camerieri, che si sentono in dovere di chiedere agli altri commensali cosa voglio bere o mangiare: “Sono qui io, mi vedi?”. Perché, ripeto nel caso qualcuno non l’avesse capito, ho capacità decisionali; sono provvisto, oltre che di vari curiosi marchingegni, anche della voce per chiedere aiuto oppure per ordinare; e conosco addirittura le regole basilari per andare in giro: infatti quando attraverso la strada so che bisogna guardare prima a destra e poi a sinistra e che, naturalmente, si attraversa con il rosso. E ogni volta che lo faccio gli automobilisti mi suonano il clacson: ora capisco che trovino impossibile che un disabile possa andare in giro da solo, ma così mi sembra un po’ eccessivo…

(Continua tra due settimane)

Testo originale già pubblicato su ‘il Cittadino di Monza e Brianza’ nella mia rubrica