Quanti lavori discografici passano ingiustamente e immeritatamente inosservati dai grandi mezzi del mainstream? Tanti, forse troppi, motivo per cui oggi dedichiamo spazio a tre lavori veramente meritevoli di nota, d’attenzione, d’ascolto.

DuneGli Sharg Uldusù pubblicano Dune (Abeat Records, 2015), dando vita a un incrocio di culture e sentimenti musicali differenti, un crocevia di esperienze che convivono egregiamente nello stesso spazio-tempo e che non vogliamo in alcun modo tentare di rinchiudere nell’angusto spazio di alcuna definizione, di per sé, considerando il caso specifico, alquanto limitante. All’esperienza etnica, medio-orientale e balcana, vanno sovrapponendosi tecniche e timbri animati da una vera e sana ricerca espressiva. Già a partire dal primissimo brano, Nihawend, siamo ben consapevoli di trovarci difronte a musiche che disattendono, divertendosi, le aspettative di un pubblico fin troppo assuefatto alle forme musicali standard, optando i nostri autori per un tipo di ascolto attivo, capace cioè di un livello di attenzione e concentrazione forieri di grandi piaceri sonori. Un continuo dentro e fuori dalle stanze della coscienza è il viaggio che Dune propone ai propri ascoltatori, laddove spazi visibilmente interiori, contemplativi, meditativi, sanno aprirsi e dar voce a esterni irti di profumi e suggestioni fra loro tanto geograficamente distanti quanto intimamente vicini.

Oslo TapesSempre del 2015, e ad opera della DeAmbula Records, è Tango kalashnikov, l’ultimo lavoro degli Oslo Tapes. Con il notevole contributo di Amaury Cambuzat, leader degli Ulan Bator impegnato in questa sede non solo con gli arrangiamenti ma anche nelle decisive fasi di missaggio e mastering, l’ultimo cd degli Oslo Tapes (nelle persone di Marco Campitelli, Mauro Spada e Federico Sergente) riporta in auge un sentire tipico di certo rock di casa nostra e degli anni nei quali spopolavano gruppi come i CSI, gli Ustmamò e gli Afterhaours. Sequenze di suoni taglienti, voci in continui intrecci polifonici, chitarre lanciate in spazi sapientemente riverberati: un rock che non lascia spazio a fraintendimenti, laddove l’intento è quello di riportare al centro della scena la poesia, il disincanto, l’amore per un suono poco o per nulla convenzionale. Gli Oslo Tapes riescono nel proprio intento, specie in brani come Gestalt, Golgota e, tra gli altri, quel Tango kalashnikov che offre il nome a un album ricco di esperienza e passione.

AmistàPassiamo ora a un lavoro che arriva dal profondo sud, dalla Calabria, un album col quale i Parafonè danno seguito a un’esperienza nata oramai nel lontano 2002. Si chiama Amistà il disco del collettivo musicale calabrese che, per l’occasione, si apre a diverse collaborazioni, alcune anche di calibro internazionale. Il repertorio timbrico tradizionale calabrese (zampogna, lira, organetto, ecc.) si fonde in questo coinvolgente lavoro a strumenti provenienti da culture e paesi medio-orientali (tabla, saz, bouzuki, darbuka, ecc.), in un incontro che vuole tradurre in musica un concetto oggi più che mai necesario, vitale, essenziale: siamo un unico popolo, aldilà del fanatismo, dell’avidità e delle conseguenti barbarie che di questi tempi sconvolgono la vita dei civili di mezzo pianeta. Con l’aggiunta poi del basso elettrico e della batteria acustica, l’ultimo lavoro dei Parafonè si inserisce appieno in quella che può essere definita vera e propria world music: una finestra che dal profondo sud d’Italia, dalla bella e calda Calabria, guarda con meraviglia e passione al resto del mondo.

Buon ascolto dunque, e buona musica.

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