The enemy is fear. We think it is hate, but it is fear
Gandhi
Tutti gli uomini soffrono, tutte le donne sentono il dolore. Siamo tutti su questa terra accomunati dalla stessa condizione e tutti abbiamo le stesse aspirazioni, le stesse speranze, lo stesso semplice obiettivo di vivere le nostre vite e di fare vivere e crescere i nostri figli, perché la vita continui. Non vi è in ciò da nessuna parte alcuna differenza fondamentale tra noi popoli del mondo. Non abbiamo dunque alcun motivo di odiarci tra noi, che siamo la stragrande maggioranza degli esseri umani, e non vogliamo essere gettati con i nostri figli in guerre e massacri voluti da un esiguo numero di portatori di interessi abietti ed irresponsabili; tutti noi, persone comuni, desideriamo la pace per noi e per i nostri cari, per la nostra comunità, per i nostri paesi e per il mondo.
Ma dopo i massacri di Parigi di inizio 2015 e gli orrori quotidiani delle guerre in Siria e nel mondo, la nuova serie di terribili stragi di questo novembre, dall’abbattimento dell’aereo russo sul Sinai, alle bombe di Beirut, al nuovo attacco a Parigi, agli attentati in Nigeria, fino all’attacco all’hotel Radisson di Bamako, è venuta a sconvolgere ancor di più i nostri spiriti, confermando al contempo il coinvolgimento diretto dei popoli dell’Europa nella situazione di conflitto globale. Nel momento in cui di nuovo, nel cuore di Parigi, la gente è costretta a fuggire dalla violenza omicida, ci devono apparire più chiare le cause della fuga di massa, in Italia ed in Europa, di centinaia di migliaia di rifugiati e migranti dall’Asia e dall’Africa; un esodo che porta con sé mutazioni demografiche e culturali epocali e la cui gestione è minacciata da rischi concreti di irresponsabile manipolazione xenofoba e razzista i quali, se non saranno efficacemente contrastati, saranno forieri di persecuzioni e di ulteriori gravi cicli di violenza.
E tuttavia dopo il nuovo tremendo colpo inferto alla Francia, la società globale sembra essere fuori controllo, come testimoniato dal caos multi-mediatico assoluto che ci sovrasta. Mentre le informazioni che ci bombardano sono a dir poco allarmanti e confuse, ed altrettanto confuse ed allarmate sono le nostre idee, e mentre cerchiamo di capire meglio quale sarà il seguito di quel che sta accadendo e come possiamo influenzare il futuro affinché ritorni la calma, il poco che noi comuni mortali possiamo provare a fare è cercare di controllare l’unica cosa che abbiamo realmente il potere di controllare, nella misura del nostro possibile: le nostre menti ed i nostri cuori, ovunque ci troviamo, sempre, per prendere, volta per volta, le migliori decisioni per ristabilire e mantenere la pace.
Per riuscirci, dobbiamo sforzarci di affinare in noi il senso della giustizia, controllare con più rigore i nostri pensieri e i nostri atti nei confronti degli altri, rifiutare di giudicare il prossimo, chiunque esso sia, frettolosamente e superficialmente, rigettare l’ingiustizia degli stereotipi e delle generalizzazioni, e cercare, senza pause né eccezioni, di essere più indulgenti nei confronti di chi, italiano, francese, libanese, russo, siriano, nigeriano, maliano, turco, cinese, americano, nero o bianco, donna o uomo, come noi sta compiendo un viaggio difficile, e la cui pena è a noi ignota. Perché vi sia misericordia per noi, dobbiamo risvegliare in noi stessi l’empatia per chi soffre più ancora di noi e fare del dolore degli altri il nostro stesso dolore.
Non è facile, certo, ed abbiamo anche il bisogno ed il diritto di proteggerci da tanto dolore, ma sempre più spesso esso ci si para dinanzi e non possiamo fare finta di non vederlo.
Quando siamo il più forte dobbiamo aiutare il più debole. Quando assistiamo all’ingiustizia e alla violenza dobbiamo intervenire per proteggerlo. Non possiamo aggredire e violentare uomini, donne, bambini, né possiamo lasciare che altri li aggrediscano né con le parole né negli atti, per il solo motivo che siamo in preda alla paura ed incapaci di mantenere il controllo di noi stessi e conservare la nostra integrità nell’umanità. Ma per controllare il nostro demone, per praticare la giustizia, per fare semplicemente il nostro dovere quando le circostanze lo impongono, ci vuole coraggio.
Per essere Giusti ci vuole coraggio, un coraggio più forte della paura. Ed a Parigi, questo coraggio ce l’hanno avuto in tanti.
Eric Dominichetti, ex marine francese, 55 anni, ha spinto la compagna a terra e l’ha coperta con il suo corpo da una scarica di mitra, scampando a sua volte alla morte, ed ha poi assistito i feriti ed i morenti fino all’arrivo dei soccorsi. Ludovic Boumbas, congolese, 40 anni, cresciuto a Lilla, ha perso la vita per difendere una donna dai proiettili E se la storia di un eroe musulmano, tale Safer, supposto salvatore di due donne ferite, si sarebbe poi rivelata falsa, è appurato invece che il 9 gennaio 2015 un altro musulmano, Lassana Bathili, ventiquattrenne del Mali, al momento della letale presa d’ostaggi al supermercato ebreo della Porte de Vincennes (compiuta da un altro musulmano di origine maliana), contribuì a salvare numerosi ostaggi nascondendoli prima in una camera frigorifera nel sottosuolo e riuscendo poi a scappare e ad informare la polizia.
Non è la prima volta d’altra parte che un musulmano salva degli ebrei a Parigi: dopo l’occupazione tedesca della Francia del 1940 e l’inizio delle persecuzioni razziali, Abdelkader Mesli, uno dei cinque imam della moschea di Parigi, nascose alcuni ebrei nella moschea di Parigi, rilasciò certificati di religione musulmana ad altri e distribuì razioni alimentari ad alcune famiglie ebree. Per questo fu denunciato alla Gestapo, torturato e deportato nel luglio del 1944. Tornato vivo da Dachau nel 1945, riprenderà la sua attività di imam fino alla morte nel 1960.
Vi sono stati e sempre vi saranno dei Giusti a Parigi. Ma ve ne sono anche altrove: per esempio a Beirut, dove il 12 novembre 2015 il trentaduenne Adel Termos, dopo essere sopravvissuto all’esplosione di una prima bomba nell’affollata via commerciale di Bourji al-Barajneh, ha affrontato un terrorista armato e coperto di esplosivi spingendolo all’esterno della moschea dove questi si faceva finalmente esplodere uccidendo Adel, ma non le 200 persone dentro la moschea. Esse devono le loro vite al sacrificio di Adel, che lascia la moglie Bassima, una bambina di sei anni, Malak, ed il piccolo Akram di due.