Mondo

Attentati Parigi: sicuri di avere di fronte dei terroristi ‘professionisti’?

La risposta francese agli attentati di Parigi condotti dalle bombe suicide è stata simile a quella degli Stati Uniti dopo l’11 settembre, quindi molto diversa da quella dello scorso gennaio, subito dopo l’attacco contro il settimanale satirico Charlie Hebdo ed il supermercato kosher. Stato di emergenza, sospensione degli accordi Schengen alle frontiere, revisione della Costituzione, dispiegamento delle forze dell’ordine dentro i confini nazionali. Ed ancora minaccia di attacchi chimici (come dimenticare la paura dell’Antrax negli Stati Uniti all’indomani dell’11 settembre?), dichiarazione di guerra nei confronti dello Stato islamico, appello a tutte le nazioni dell’Unione Europea per fare quadrato intorno allo sforzo bellico della Francia.

Ma siamo sicuri che la minaccia oggi, come 14 anni fa, sia veramente così seria da richiedere una riduzione delle nostre libertà civili come avviene quando si è in guerra?

Il commando terrorista parigino non ha dato prova di grande professionalità. Certo chi si è trovato faccia a faccia con uomini vestiti di nero che imbracciavano armi d’assalto ha pensato che costoro fossero dei professionisti. La paura fa brutti scherzi. Ma da un’analisi attenta gli errori che hanno commesso fanno credere il contrario.

Le bombe suicide che si presume dovevano farsi esplodere nello stadio durante la partita, alla quale assisteva lo stesso Hollande, non avevano il biglietto d’ingresso. E quindi gli è stato negato l’accesso. A quel punto hanno detonato l’esplosivo senza ottenerne lo scopo: ammazzare il numero massimo di civili e creare il panico nello stadio.

Uno dei jihadisti in fuga ha gettato il telefonino senza distruggerlo. Errore da manuale delle marmotte del terrorismo: mai e poi mai lasciare alcuna traccia elettronica. Perché non lo ha fatto in un’altra località? Perché non gettarlo nella Senna o sotto le ruote di un autobus?

Il presunto secondo commando si è barricato in casa invece di spostarsi in un altro covo sicuro, una safe house. Anche questa è una regola imprescindibile per chi vive in clandestinità e fa il terrorista.

Se questa è la professionalità dei jihadisti europei, avranno vita corta adesso che abbiamo scoperto che esiste una rete. Cercare il prossimo lupo solitario è come cercare un ago in un pagliaio, ma cercare un network di terroristi è un’altra cosa. Gli attentatori di Madrid nel 2004 e quelli di Londra del 2005 hanno mostrato maggiore professionalità, anche se anche loro non avevano alle spalle una carriera da terrorista.

Se facciamo una comparazione con l’attività dei grandi gruppi armati europei, ad esempio l’Ira e l’Eta ed il jihadismo europeo le differenze balzano subito agli occhi. E’ relativamente facile fare un singolo attacco ma è molto, molto difficile sostenere per lunghi periodi un’organizzazione armata il cui scopo sia l’attività terrorista. C’è bisogno del supporto di segmenti, anche se piccoli, della popolazione, che sia l’Eta che l’Ira avevano, e che il jiahdismo non lo possiede. C’è anche bisogno di una grande professionalità nella gestione della vita da clandestino, bisogna programmare tutto e prevedere tutto, altra caratteristica che non si impara sui campi di addestramento dell’Isis o di al Qaeda. Ma se lo scopo è morire facendosi saltare in aria allora tutte queste accortezze appaiono superflue.

L’Isis sa addestrare bene chi combatte sul campo, perché una delle sue due anime proviene dai quadri militari e dell’intelligence di Saddam Hussein. Ma essere un buon soldato non vuol dire poter essere un efficiente terrorista. E se è vero che la mente degli attacchi parigini, incluso quello sventato, è stato un giovane jihadista belga che ha combattuto in Siria ed in Iraq, allora è chiaro che a Raqqa non gli hanno insegnato a far bene il terrorista.

Se il fronte jihadista europeo poggia su attentati terroristici di questo tipo la minaccia non è tanto grande quanto crediamo che sia. Di certo non siamo ai livelli di una guerra. E’ vero con molta probabilità si  saranno altri attentati, ma non ci troviamo nelle condizioni in cui eravamo durante gli anni di piombo o quando l’Eta faceva saltare in aria i politici spagnoli o l’Ira metteva le bombe nei parchi di Londra o durante il congresso del partito conservatore.

Nel 1976 nel Regno Unito morirono più di 300 persone a causa del terrorismo dell’Ira, nessuno però pensò che si trattasse di una guerra, né gli anglicani inglesi guardarono con sospetto tutti i cattolici.

Il vero problema è un altro e viene percepito a pelle dall’opinione pubblica senza però essere metabolizzato: il caos che imperversa nel Medio Oriente e l’incertezza sul da farsi dei nostri politici dopo 16 mesi di bombardamenti. Ecco questo sì che è un pericolo vero! Per mascherarlo si ingigantisce la minaccia del jihadismo terrorista. E’ la politica della paura inventata dagli americani negli anni 50 quando l’Unione Sovietica costruì la sua bomba atomica. Una tecnica che a quanto pare ancora funziona.