Ai carabinieri di Venezia che lo hanno interrogato, Andrea Ravagnani ha detto di essersi finto morto per proteggere la ragazza uccisa da un colpo sparato dall'alto al basso. Aperta la camera ardente. Il padre: "Ho visto tante ricostruzioni , io non voglio sapere"
“Per due ore mi sono finto morto e sono stato abbracciato a Valeria”. Davanti ai carabinieri di Venezia Andrea Ravagnani – riporta il Gazzettino – ricostruisce quello che è successo venerdì 13 novembre dentro al Bataclan, quando i terroristi hanno fatto strage di 87 persone. Tra quei morti c’è anche Valeria Solesin, la sua fidanzata, colpita da una delle prime raffiche di kalashnikov e morta dissanguata un quarto d’ora, o forse più, dagli spari, a causa della ferita provocata da un proiettile al volto. Poco dopo l’irruzione del commando alle 21 e 49, Valeria cade a terra. Ravagnani la stringe a sé. Vicino a loro sua sorella Chiara e il fidanzato di lei, Stefano Peretti. Andrea si finge morto per proteggere la ragazza. Mentre “i terroristi dell’Isis passavano tra i feriti del teatro Bataclan per dare il colpo di grazia alle vittime”. E centinaia di ostaggi restano sotto il tiro dei fucili d’assalto. Passano due ore. “E’ stato un tempo interminabile”, dice Andrea nell’interrogatorio.
Poi finalmente il blitz delle teste di cuoio, che intorno a mezzanotte fanno irruzione nella sala concerti. Ma è qui, nel caos, tra le urla e la calca dei sopravvissuti, che il gruppo si separa credendo che Valeria sia ancora viva, ricoverata in qualche ospedale. Magari in stato di incoscienza, senza documenti e per questo difficile da rintracciare. Fino a quando non arriva la conferma della morte. Sono state queste le ultime ore di Valeria, ricostruite con un racconto preciso e concorde da tutti e tre i ragazzi ascoltati sabato 21 novembre dai militari, a cui è affidata l’indagine aperta dal procuratore aggiunto Adelchi D’Ippolito. I tre sono stati interrogati subito dopo l’arrivo all’aeroporto di Venezia con il volo di Stato che ha riportato in Italia la salma della 28enne.
Secondo la ricostruzione emersa durante l’esame autoptico all’ospedale all’Angelo di Mestre, la ricercatrice è stata uccisa da un proiettile sparato dall’alto al basso che le ha centrato la parte sinistra del viso per poi perforarle il polmone sinistro prima di uscire, come ricostruisce il quotidiano la Nuova. Mentre oggi nell’androne del Municipio di Venezia, a Cà Farsetti, si è aperta la camera ardente. Centinaia le persone venute a rendere omaggio. Sul feretro sono stati lasciati fiori bianchi. “Non sono una persona capace di odiare. E’ inutile ragionare su come sono andate le cose. Io non ho voluto sapere”, dice il padre, Alberto Solesin. “Ho visto tante ricostruzioni sul colloquio che Andrea, il fidanzato di Valeria, ha avuto coi carabinieri. Io sono stato con lui tanti giorni a Parigi, non gli ho chiesto nulla e non voglio sapere. Sapere di come sono andate le cose quella sera non cambia nulla nel destino di mia figlia e degli altri 131 sfortunati morti quella notte”.