Sta per cominciare in Vaticano il processo per il caso Vatileaks 2. Ricapitolando: sono indagati monsignor Lucio Vallejo Balda, ex segretario della Commissione referente sulle strutture economiche e amministrative della Santa sede (Cosea), detenuto, Francesca Immacolata Chaouqui, un ex collaboratore della Cosea, Nicola Maio. E pure due giornalisti italiani, Gianluigi Nuzzi ed Emiliano Fittipaldi, autori rispettivamente di Via Crucis (Chiarelettere) e Avarizia (Feltrinelli). A loro è stato comunicato di essere indagati circa dieci giorni fa; il processo inizia dopodomani. Il reato ipotizzato, per i due colleghi, è quello previsto dall’articolo 116 bis del codice penale vaticano, concorso nella divulgazione di notizie e documenti riservati; agli altri tre è contestata anche l’associazione a delinquere.
I giornalisti sono stati convocati per un interrogatorio in Vaticano; Nuzzi, che non si è presentato, ha spiegato: “In Vaticano non è prevista la ‘non punibilità’ che deriva dall’esercizio di un diritto, come in Italia. Né è riconosciuta la possibilità di manifestare liberamente il pensiero come sancisce l’articolo 21 della nostra Costituzione. Per loro chi fa cronaca è punibile. Non esiste nel codice di procedura penale vaticano una norma che tuteli il ‘segreto professionale’ sulle fonti come in Italia. La divulgazione di notizie segrete non è per il giornalista una medaglia, come accade per la libera stampa in tutto il mondo democratico, ma è sempre e comunque un reato. Non solo divulgare documenti, ma anche notizie segrete. Notizie che non riguardano la sicurezza nazionale, ma in quante centinaia di metri quadri abita un cardinale o dove vanno a finire le offerte. Non mi presento in uno Stato in cui il codice di procedura penale è più o meno fermo al 1913 quindi al tempo del re e applica il Codice penale Zanardelli, in vigore in Italia fino al 1930”. A questo si aggiunga che il Tribunale è composto da tre membri laici, nominati dal pontefice. E che se la divulgazione di notizie e documenti riguardano “gli interessi fondamentali o i rapporti diplomatici della Santa Sede e dello Stato si applica la pena della reclusione da quattro a otto anni”. Non proprio una bazzecola.
Il quadro giuridico – tempi a garanzia della difesa, composizione del collegio giudicante, norme applicate – ci fa pensare di essere tornati indietro di un secolo. Ma soprattutto colpisce il paradosso: quello che in Italia è un diritto (e un dovere), cioè informare, in Vaticano è un reato. A nulla quindi vale opporre il diritto di cronaca e quello d’informazione, perché esiste solo da una parte del Tevere. E qui sorge una domanda: cosa possono dire i giornalisti che si occupano dello Stato della Chiesa? Solo quello che va bene al Vaticano, pare di capire. Come ha detto Fittipaldi: “In tutto il mondo i giornalisti hanno il dovere di pubblicare notizie e segreti che il potere, qualunque esso sia, vuole tenere nascosti all’opinione pubblica”. Concetto ribadito anche da una (per la verità stringata) nota dell’Ordine dei giornalisti del Lazio: “Per noi è compito del giornalista diffondere notizie e documenti utili affinché i cittadini siano informati ed è bene ricordare che in Italia esiste per questo l’articolo 21 della Costituzione. L’Ordine dei giornalisti del Lazio esprime solidarietà e sostegno ai colleghi Nuzzi e Fittipaldi rei di aver svolto il loro mestiere”. Voce rimasta solitaria: né l’Ordine nazionale, né la Federazione della stampa sono intervenuti. Per dire: sulla pagina Facebook del presidente dei giornalisti – Enzo Iacopino, ritratto con il Papa – ieri compariva un post sull’oroscopo di Branko.
Il Fatto Quotidiano, 22 novembre 2015