Il kalashnikov puntato in faccia, il terrorista – probabilmente Salah Abdeslam, ancora in fuga – che prova a sparare. Uno, due colpi. Ma i bossoli sono finiti o l’arma si è inceppata, quindi se ne va. Mirava dritto alla 18enne italiana Barbara Serpentini, studentessa di Scienze Politiche, e alla sua amica Sophia Bejali, avvocato francese di 40 anni di origini algerine. Sono loro le due donne immortalate dalle telecamere a circuito chiuso della pizzeria La Casa Nostra, uno dei locali colpiti dai jihadisti a Parigi la sera del 13 novembre. Le immagini raccontano la dinamica dell’attentato: la Seat nera si ferma davanti al locale, da lì scende uno dei terroristi, che si avvicina e inizia a sparare a raffica. Rompe le vetrate, chi può corre all’interno, altri scappano. All’esterno, sedute a un tavolino, rimangono loro due. E Sophia spinge l’amica sotto, per proteggerla dagli spari. E la spinge talmente forte da lasciarle alcuni lividi. Al Daily Mail, a otto giorni di distanza dalla strage di Parigi e in un bar a 20 minuti dal luogo della sparatoria, Sophia e Barbara ricostruiscono quella notte.
“Credevamo non ci avesse viste – racconta Barbara al quotidiano britannico – Non ci rendevamo conto che mancava poco perché ci uccidesse. E’ pazzesco pensare che le nostre vite sono state salvate da una pallottola mancante”. La ragazza, però, è ancora incredula rispetto a quello che è successo. “La donna che vedo nel video è stata fortunata, ma non posso credere di essere io. So che suona strano, ma mi vedo dall’esterno. Sono contenta per quella persona”. Sophia e Barbara si erano conosciute un mese prima: erano volontarie in un progetto per trovare alloggio ai rifugiati. Non si vedevano da un paio di settimane e così hanno deciso di uscire. Un succo di albicocca e un bicchiere di Chardonnay in mano quando il terrorista è arrivato davanti a loro.
Sophia, più vicina alla porta della pizzeria, ricorda quel rumore. Sembravano petardi. Pochi secondi dopo era chiaro che si trattasse di colpi d’arma da fuoco. Spinge Barbara sotto il tavolo e poi vede il jihadista che si avvicina. “L’ho visto scendere dalla macchina, ma il mio cervello non mi fa ricordare cosa sia successo dopo. Rimane tutto molto vago. Ci stringevamo forte. Non ho visto parecchie cose perché cercavamo di nasconderci e proteggerci. Ho sentito molti colpi e sembrava che intorno a noi le persone stessero morendo”. Il tonfo dei colpi era talmente forte che “non riuscivo a sentire grida o altro”. Poi silenzio. E a quel punto ha urlato a Barbara: “Andiamo, corri”.
La 18enne italiana al Daily Mail racconta di essersi coperta gli occhi con le mani perché così, pensava, “non può vedermi”. “Ci stringevamo forte, tremavamo – ricorda -. Ho sentito molti spari e ho capito dal suono che provenivano da un kalashnikov. Ho pensato ‘adesso mi sparano’. Cercavo di stare calma. Continuavo a dirmi ‘sto per essere uccisa’”. Poi gli spari si fermano e lei, a quel punto, alza lo sguardo. Vede i suoi piedi, sono a 20 centimetri.
“Aveva scarpe da ginnastica nere, è stato lì davanti a me per tanto tempo – potevano essere pochi secondi, ma a me sembrava un’eternità. Non volevo incrociare il suo sguardo, così mi sono di nuovo coperta gli occhi”. Nel frattempo, un altro terrorista stava sparando “quindi non potevo sentire nulla di quello che stava facendo quello vicino a me. Sapevo solo che se n’era andato. Ho pensato che non ci avesse viste”. Dopo le due donne scappano. Bussano a qualche porta, nessuno apre, tutti hanno paura. Gridavano “la gente sta morendo, fateci entrare”. Poi sono riuscite a entrare in un edificio: “Urlavamo a tutti di spegnere la luce e di rimanere al buio. Eravamo spaventate”. Per Jasmine El Youssi, la cameriera che quella notte ha servito ai tavoli, Sophia e Barbara sono “le più fortunate. Il terrorista era così vicino, e ha cercato di premere il grilletto”. E se le avesse uccise “sarebbe entrato nel locale e ci avrebbe finiti tutti quanti. Doveva fare fuori più persone”.