La pellicola di Ernesto Pagano racconta 10 storie di convivenza possibile. Doveva essere proiettata in 15 sale il 25 novembre. Dopo i fatti di Parigi l'UCI decide però di rinviarla mentre la programmazione è confermata in tutto il mondo, da Amsterdam a Tunisi. Perfino all'Istituto italiano di Cultura a Bruxelles, in pieno coprifuoco da rischio terrorismo. Alla fine il passo indietro: sarà nelle sale italiane il 2 dicembre
“Non ci faremo condizionare dai terroristi, non cambieremo le nostre abitudini e il nostro stile di vita”. Lo sentiamo ripetere da giorni ma succede lo stesso, senza che nessuno o quasi batta ciglio. Accade così che un film sull’islam partenopeo non si possa vedere in Italia, dove è stato realizzato, ma venga proiettato all’estero, dove nessuno si è sognato di metterne in discussione la programmazione. Lo proietta perfino l’Istituto italiano di Cultura di Bruxelles, proprio nel cuore della città militarizzata, teatro in queste ore di una caccia all’uomo senza precedenti e di un allarme terrorismo che tocca l’intera popolazione.
La storia del docu-film “Napolislam” di Ernesto Pagano – regista, giornalista e arabista – era già singolare, ma ha assunto tratti surreali. La pellicola racconta dieci storie di convertiti in una capitale del Sud molto più islamica di quanto si creda. Entra nelle case polari dei napoletani e documenta l’armonica, pacifica e perfino divertita convivenza tra la fede in Allah, il cattolicesimo, la passione per i neomelodici e la tradizioni locali. Sul pianerottolo e anche all’interno della stessa famiglia. “Il tutto – racconta Pagano – tra forme d’integrazione che lasciano spesso spiazzati, come la produzione di sfogliatelle halal senza strutto in Piazza Garibaldi o la sovrapposizione nella stessa piazza del culto della Modonna del Carmine con la preghiera di fine Ramadan”. Un delicato cameo senza alcun messaggio politico, ideologico o religioso. Per altro gran parte del film, premiato al Biografilm2015 di Bologna, è stata girata nei mesi successivi all’attentato alla redazione di Charlie Hebdo e su questo pure si confronta, restituendo la grande distanza tra quelle vicende e l’esperienza reale delle persone intervistate che disapprovino apertamente il terrorismo e l’estremismo e raccontano invece l’Islam come modello di convivenza.
Ebbene, nonostante tutto questo nelle sale italiane il film non c’è. E sarà proiettato con ritardo, solo grazie al passo indietro di chi ha inteso sospenderne la programmazione. Quella originale era fissata per il 25 novembre, in extremis è stata però bloccata. E non nel mondo arabo, dove sarà proiettato il giorno prima (a Tunisi, nell’ambito della rassegna di film italiani delle Giornate Cinematografiche di Cartagine). Lo stop è scattato nelle 15 sale italiane del circuito Uci, la principale catena di sale cinematografiche, che ha deciso di rinviare a febbraio l’uscita del film con la motivazione che “dopo gli attentati di Parigi” si preferiva aspettare “un momento più sereno”.
Epilogo. In rete è montata l’indignazione: “cose da pazzi, “assurdo”, “miope censura” dicono i commenti al post del regista. Al punto che la direzione Uci ha deciso il passo indietro, o meglio avanti: l’ultima è che il film – contrariamente a quanto deciso prima – sarà proiettato in Italia nelle stesse modalità, ma il 2 dicembre. Uno sconto sul rinvio, insomma. Sarebbe stato per altro assurdo mantenere la “fatwa” mentre la pellicola viene proiettata nel resto del mondo. Proprio stasera, ad esempio, ci sarà la prima internazionale del film al Festival di Amsterdam, che è il primo mercato di documentari al mondo. E i biglietti sono esauriti con due giorni d’anticipo. Il 28 è confermata quella presso l’IIC di Bruxelles. Conferma anche la proiezione a Tunisi, dove il 97% della popolazione è musulmana. Solo da noi, dove il film è stato realizzato, si è dovuto penare tanto.