L’obiettivo è “radicare l’ancoraggio del Pd al campo largo del centrosinistra“. L’effetto, invece, è di una “scissione di fatto“, almeno per un giorno, ancora una volta. Il 12 dicembre, infatti, mentre Matteo Renzi e larga parte del Partito democratico si confronteranno alla Leopolda (sesta edizione), le correnti di minoranza organizzeranno una loro iniziativa a Roma. Una scelta obbligata, si dice: la data immaginata era il 5, ma poi la segreteria del Pd ha fissato per quel giorno un evento con “mille banchetti nelle piazze italiane”, per illustrare proposte e programmi del partito. “Scelta che condividiamo” dicono i leader delle correnti di sinistra Gianni Cuperlo, Roberto Speranza e Sergio Lo Giudice, ma questo “spinge a rinviare il nostro incontro alla settimana successiva”. Quindi, appunto, il 12. Fosse la prima volta. Nel 2010, a parti invertite con Renzi in minoranza, il segretario Pierluigi Bersani convocò il 6 novembre a Roma tutti i segretari dei circoli del Pd, in concomitanza con la kermesse fiorentina di Renzi e Pippo Civati, che allora marciavano uniti. Una cosa simile avvenne nel 2014 quando nello stesso giorno della Leopolda fu organizzata una manifestazione della Cgil contro il Jobs Act alla quale parteciparono alcuni esponenti del Pd come Stefano Fassina e Alfredo D’Attorre: entrambi poi hanno lasciato il partito.
La Leopolda era stata fissata già da un mese. Così ora si trova in imbarazzo chi, magari, aveva già deciso di partecipare al meeting di Firenze senza essere renziano. Per esempio il presidente della Regione Toscana Enrico Rossi, che ha una posizione alternativa alla dicotomia renziano-antirenziano. “Il Pd rischia di finire come l’asino di Buridano”, scrive su facebook Rossi che ha l’ardire di chiamare compagni sia coloro che “si vedranno a Roma per discutere di ‘sinistra e sfide dell’Europa’ sia quelli che “si vedranno a Firenze per la consueta convention della Leopolda”. “Prima che uscisse la notizia dell’incontro romano – spiega il governatore toscano – quest’anno ho deciso di andare alla Leopolda, perché pur non aderendo alla maggioranza renziana penso potrà essere un’occasione importante per ascoltare il premier/segretario del mio partito e tanti esponenti del Governo. Non avrei però immaginato che si sarebbe potuto ripetere l’errore della coincidenza già avvenuto ai tempi di Bersani. Credo che queste coincidenze non possono che sembrare piccinerie che fanno a pugni col senso comune, dando non l’immagine di un partito plurale ma piuttosto diviso e in lotta al proprio interno”. Per Rossi, infatti, “le piazze contrapposte non tengono conto di chi è mosso da una sincera appartenenza all’intero più che ad una sua parte”.
Cuperlo, Speranza e Lo Giudice rappresentano le tre aree che compongono la minoranza del Pd e che hanno escluso ogni ipotesi di scissione. Si tratta, indicativamente, degli ex dalemiani, rimasti fedeli all’esperienza comunista-diessina alla D’Alema (Cuperlo, Barbara Pollastrini, Andrea De Maria); i bersaniani che oltre a Speranza sono – per esempio – Miguel Gotor, Guglielmo Epifani a cui sono i vicini anche i bindiani; e infine quelli che si potrebbero chiamare in area “ex Civati” come Lucrezia Ricchiuti o Sandra Zampa, ex portavoce di Romano Prodi. “Pensiamo – dicono le minoranze riunite – a una occasione dove ragionare con interlocutori diversi. Un momento prezioso per individuare soluzioni, priorità e obiettivi che parlino a tutta la comunità democratica in una logica di apertura e ricerca per un nuovo centrosinistra di governo, per il civismo, nelle città e nel Paese”. Per farla più facile la differenza è tra il futuro indicato da Renzi (partito della nazione, dialogo guardando a destra) e quello immaginato dalla minoranza (che guarda a sinistra e al vecchio recinto dell’Ulivo).