Sembra ormai chiarita la misura del canone – diminuita a 100 euro – e l’aggancio del medesimo alla bolletta elettrica, che ne impedirà l’evasione. In più, pare che sia agli sgoccioli l’approvazione in ultima lettura del Ddl che avvia la Riforma della governance aziendale – alias l’uscita dalla lottizzazione – e quella degli assetti di sistema, dopo trenta anni di Duopolio.
Alla fin fine, infranti i lotti e superati i duopoli, si tratterà comunque di trovare un pubblico e di sviluppare i mezzi di sostentamento, di ottenere cioè dalla realtà più che dai commi di legge la legittimazione ad esistere.
Obiettivo reso oggi più complesso dalla circostanza che il consumo audiovisivo appare in movimento su tutti i fronti. Al cinema non si va più “tanto per andare al cinema”, ma solo per non mancare gli appuntamenti irrinunciabili coi cartoon e i supereroi (per chi ha bambini) o per il retaggio cultural-generazionale delle platee brizzolate. In televisione il grosso (circa la metà dell’intera platea), cerca quasi sempre e quasi solo il bello nella canzone, il buffo nell’imitazione e nei nomination game, l’orrore commosso nelle storie di misteri, scomparse e delitti, la suspense d’appendice de’ Il Segreto e dei prodotti consimili.
Nell’altra metà della platea, quella dove si spende per connettersi, i giovani alzano di tanto in tanto gli occhi dalle condivisioni sugli smartphone giusto per tuffarsi dentro un talent più o meno canoro. I meno giovani seguono stancamente i talk show politici che un tempo avevano imbroccato la chiave epica e parlavano di Potere, ma da ultimo si erano ridotti a berciare sulla Casta. E poi ci sono quelli che attraverso Sky, sport a parte, hanno trovato modo di portarsi il cinema in casa tutte le sere, chiudendo la porta in faccia al resto che corre sul video.
Finché non è arrivato Netflix, ma più generalmente il Video on Demand, che grazie alla estensione spaziale e alla profondità temporale del suo mercato, ha messo in campo la serie ad alta densità di scrittura e ad alto costo di realizzazione: una macchina da guerra capace di risucchiare diverse risorse narrative (si veda in Narcos l’intreccio di “favola” e documentario) e di fidelizzare parti cospicue di pubblico propenso a pagarsi la qualità delle serate. In questo quadro, a dirla in breve, alla Rai tocca, per quanto possiamo immaginare, non di scavarsi una nicchia, ma di cercare di rimescolare il popolo grasso col popolo magro per infrangere le prigioni e le separatezze del marketing. E per riuscirci dovrà affrontare una avventura, quella davvero epica, per trasformare il suo stesso corpo aziendale. Di questo, a giudicare dalle dichiarazioni, sembra esserci consapevolezza.
Da parte nostra, tornando a quanto abbiamo letto, aggiungeremmo un amichevole suggerimento: lasciate perdere il Qualitel, quella ridicolaggine nostalgica che scimmiotta le misurazioni di ascolto pretendendo però di sostituirle con la dimensione del “gradimento”. A meno che non siate in cerca di compiacenti bugie, come quelli che domandano “ti è piaciuto?, quanto ti è piaciuto?”, denotando scarsa fiducia in sé e troppa negli altri.