Il piano per la larga banda procede, ma solo nei preliminari. Mentre l’Italia non decolla dalla parte bassa delle classifiche europee sugli accessi a Internet e il governo sembra intenzionato a dimezzare i fondi destinati alla pubblica amministrazione per la sua informatizzazione, continuano le manovre su chi e come sarà destinatario dei fondi messi a disposizione dallo Stato per realizzare la rete per la banda larga super veloce.

In questo gran brigare, sfugge però un elemento di tutta evidenza: al di là delle coperture, cioè dell’estensione della rete, è la richiesta di accesso fisso a Internet nelle case degli italiani che manca. Qualche dato illuminante (fonte Eurostat e Digital Agenda Scoreboard). Le reti Adsl, con diversa qualità, coprono il 99% della popolazione, mentre gli abbonamenti relativi sono solo al 70% (contro la media europea dell’80%). Le reti in fibra ottica coprono il 36% della popolazione (media europea 68%) con un numero di relativi abbonamenti pari a circa il 2% (media europea 43%).

Da questi dati è possibile trarre due considerazioni. La prima è che lo sviluppo della larga e della larghissima banda è stato fino ad ora esclusivamente opera degli operatori privati. Che hanno precisi piani di sviluppo (talvolta in sinergia tra loro, come nel caso di Telecom e Fastweb). Salvo cataclismi societari o pastoie burocratiche sembrano intenzionati a proseguire, soprattutto se ciò sarà conveniente per l’aumento della domanda.

La seconda considerazione riguarda la differenza tra copertura della rete e abbonamenti attivi. L’Italia sconta prezzi di accesso tra i meno convenienti d’Europa e la percezione della scarsa utilità di un collegamento alla larga banda. Sui costi si può agire sostenendo la domanda (in parte il piano del governo si occupa di questo) e le famiglie, attraverso incentivi di nuova concezione (ad esempio, di tipo fiscale). Per la mentalità, si può far fronte con un diffuso processo educativo sull’uso delle nuove tecnologie digitali e con un importante ruolo della Pubblica amministrazione. Non potrà essere solo l’offerta di contenuti audiovisivi, come sostengono alcuni, a sostenere lo sviluppo delle reti di nuova generazione.

Resta sullo sfondo l’impegno del governo. Dopo l’approvazione del piano che ha diviso il territorio nazionale in quattro tipi di aree (cluster), il Cipe, in agosto, ha materialmente stanziato 2 miliardi e 200 milioni di euro per le zone cosiddette a fallimento di mercato e rurali (cluster C 1.900 milioni e cluster D 300 milioni) ed è in trattativa con Bruxelles per il via libera della Commissione Ue (previsto, salvo contrattempi, per i primi mesi del 2016). Continuano i contatti con le Regioni e la messa a punto delle regole necessarie (quelle sul catasto e sulla condivisione delle infrastrutture e sui costi di accesso per gli operatori alla rete di nuova generazione).

Solo alla fine di questo complesso percorso verranno pubblicati i bandi che all’inizio riguarderanno le aree dove tendenzialmente non c’è convenienza per gli operatori a investire. I 2,2 miliardi di euro stanziati faranno quindi gola ai tradizionali operatori di Tlc a cui si è aggiunta Enel che ha annunciato la costituzione di una società dedicata a utilizzare la rete della controllata Enel Distribuzione per realizzare una infrastruttura in fibra ottica accessibile a tutti gli operatori di telecomunicazioni. Un’operazione benedetta dal governo mirata proprio alle zone a fallimento di mercato (ma non è escluso che in futuro il progetto si possa allargare anche alle aree più redditizie) e che andrà di pari passo al programma aziendale di sostituzione dei contatori elettrici con quelli di nuova generazione, in modo da alleggerire i relativi costi.

L’iniziativa di Enel è già stata salutata con favore da due operatori come Wind e Vodafone. Si prefigura quindi quell’ipotesi di un’operazione in “condominio” sempre osteggiata da Telecom durante le trattative con Metroweb. L’ex monopolista ha più volte bocciato l’ipotesi di collaborazione nei lavori di cablaggio con altri operatori. E in effetti la mossa di Enel può essere letta come una forzatura nei confronti dell’ex monopolista. Quest’ultimo è alle prese con l’intrepida iniziativa societaria di Xavier Niel, patron dell’operatore Free. Resta infatti da capire se la mossa di Niel sia stata concertata con l’altro socio francese (Vivendi) e quindi quali reali interessi si stanno agitando dietro queste iniziative (l’interesse di Vincent Bolloré per la rete italiana o meglio per i più appetitosi asset di Telecom in sud America).

Persa l’occasione per lo Stato di riprendersi la rete di Telecom mediante la Cassa depositi e prestiti ora il governo sta creando le condizioni per una duplicazione di investimenti (c’è da immaginare, se non altro per la sua sopravvivenza, che Telecom proseguirà nei suoi piani). Senza contare che Enel si propone perché deve cambiare i suoi contatori, che spesso non si trovano nelle abitazioni. Dovranno quindi essere spostati dentro le case per portare anche la fibra, con inevitabili costi nella bolletta elettrica.

Dal Il Fatto Quotidiano del 19 novembre 2015

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