“Ho deciso che prenderò due mesi di paternità. Studi hanno dimostrato che quando i genitori che lavorano si prendono del tempo per stare con i figli appena nati è meglio per i figli e per la famiglia”. La notizia è di quelle che non passano inosservate perché a decidere di prendersi del tempo dal lavoro per accudire la figlia, quando nascerà, è il numero uno di Facebook, Mark Zuckeberg. Ad annunciarlo è stato lui stesso dalle pagine della sua bacheca, dopo aver postato qualche mese prima di aspettare una bimba dalla sua compagna. Ora, a poche settimane dalla nascita, Zuckeberg è tornato sull’argomento dichiarando che si prenderà due mesi di congedo, esattamente la metà del tempo concesso da Facebook per tutti i suoi dipendenti.
Una notizia che attendevano in molti e una domanda che noi stessi avevamo sollevato in tempi non sospetti proprio dalle pagine di questo blog. Una decisione non scontata e destinate a creare un precedente di tutto rilievo, soprattutto in paese dove il congedo parentale (sia maschile che femminile) non è un diritto per legge ma è discrezionale in base al datore di lavoro. E Facebook è una delle poche aziende del tech che concede ai propri dipendenti 4 mesi di congedo parentale (siano essi madri, padri o genitori adottivi). Sopra Facebook, solo il colosso dello streaming tv Netflix, che ha concesso un periodo illimitato per i padri e le madri nel primo anno, pubblicizzandolo a gran voce. Quella del congedo parentale, sembra quindi la nuova sfida lanciata dai colossi della Silicon Valley che si giocano credibilità e visibilità anche a colpi di paternità e maternità.
Al di la di tutto, la decisione di Zuckeberg, così come la scelta ancora più decisa di Netflix, apre le porte a un grande tema, sia negli Usa che oltreoceano: quello del diritto, e non del privilegio, a crescere i propri figli. Ma c’è di più, queste scelte aprono al riconoscimento che questo diritto possa e debba riguardare indistintamente sia i padri che le madri. Un annuncio del genere aiuta perché valica la sfera personale di un singolo individuo e contribuisce a rivendicare la propria voglia di paternità, oltre che di maternità, e a produrre così quel cambiamento culturale che è alla base di ogni progresso e di ogni trasformazione.
Un cambio di rotta e di mentalità necessario, soprattutto in Italia, dove il congedo di paternità (quindi solo maschile) è uno dei più brevi al mondo (un giorno dopo la nascita del figlio contro una media Ocse di circa 9 settimane) mentre quello parentale (ovvero concesso a uno dei due genitori indistintamente una volta terminate maternità o paternità) è richiesto solo dallo 0,2% degli uomini a fronte del 90% dei paesi europei come la Svezia. Ed è indicativo che questo cambiamento culturale provenga proprio dagli uomini, in un momento storico in cui molte donne note affermano invece di rinunciarvi, alimentando paradossalmente quegli stereotipi che vorrebbero abbattere, nell’implicita dichiarazione che parità di genere significhi omologarsi a un sistema maschile e non rivendicare la parità di accesso ai diritti. Tutto questo rischia di provocare un effetto a catena sulla tutela della maternità preoccupante.
Partendo dalla decisione della Ceo di Yahoo Merissa Mayer di tornare a lavoro subito dopo il parto, fino alle scelte di volti noti nostrani o alle dichiarazioni delegittimanti di alcune ministre, il diritto alla maternità sta subendo un attacco che non lascia spazio alle donne, figuriamoci agli uomini. E invece proprio da loro, inizia ad arrivare l’esempio vincente. Che Zuckeberg si astenga dal lavoro per due mesi può sembrarci qualcosa di lontano che poco ci riguarda, che molti altri inizino a seguire l’esempio, rivendicando pubblicamente quanto faccia bene la presenza dei genitori nei primi mesi di vita, può essere significativo.
Aggiornato mercoledì 25 novembre alle ore 8,30