Un libro da “ascoltare”. Questa mi pare la migliore definizione per i nuovi racconti di Francesco Guccini inclusi nel recente ” Un matrimonio, un funerale, per non parlar del gatto”, pubblicato da Mondadori. Il “maestrone” ci delizia, anche in questo caso, con le sue storie semplici così provinciali e italiane allo stesso tempo, dove si narra di matrimoni, di gatti e funerali con una vena ironica autenticamente gucciniana.
La scelta dello scrittore è chiara: conservare la memoria senza tralasciare nulla, nemmeno il minimo particolare. In una società ad alta velocità, Guccini ha scelto la lentezza e la continua riscoperta dei personaggi “minori” e di un paesaggio dell’anima; lo stesso al quale è rimasto legato nonostante la sua popolarità, difendendo le sue origini senza alcuna “contaminazione” derivante dal successo.
Il libro è piacevole perché ci conduce proprio nei luoghi della sua infanzia con la capacità di farci “vivere” i momenti che ha vissuto. La forza dell’autore è proprio questa: ripercorrere i tempi andati con la naturale arte dell’affabulazione, dando spazio a vicende tra realtà e fantasia con i paradossi di racconti tipici della genuinità dei suoi luoghi. In questo periodo di smarrimento leggere queste pagine aiuta a riflettere anche sulla nostra infanzia e in particolare su quei personaggi “fiabeschi” o “strani” che appartengono spesso al tessuto sociale di una comunità; in questo senso, la coesione sociale deve necessariamente attingere al dono del ricordo per ritrovare l’identità perduta.
Per questo Guccini, come si legge nel risvolto di copertina, si conferma ancora una volta uno dei grandi cantori della nostra provincia con il suo epos perduto, con la sapienza e l’infinita pazienza di chi sa esercitare ogni giorno il setaccio della memoria, per far riaffiorare dettagli, immagini ed emozioni che sono nutrimento per il presente e il futuro. Molto interessante l’uso della terminologia per continuare lo sforzo di riscoprire un passato dal sapore e dal sapere antico; non solo spazio al dialetto dei sentimenti, ma al linguaggio perduto, quale specifica manifestazione del territorio di appartenenza.
“Canova” per indicare la Casa Nuova punto di partenza del gustoso racconto sul matrimonio per poi attraversare, “indomenicati” “il pontaccio” prima del pranzo, così sintetizzato: “Io, ragazzetto, mangiai certo qualcosa, ma gli adulti si strafogarono, forse due piatti di lesso e d’arrosto, le bazze unte, le ganasce che si muovevano come macine a distruggere cibo, a ingurgitare l’ingurgitabile…”. Per non parlare degli “sfunzigoni” del grano ( già evocati in “Cròniche epafániche”) nell’episodio “Sabrina” tra giochi di bimbi e cambio di stagioni, oppure dei sègoli citati a proposito del “Mercato” altro luogo perduto secondo Guccini proprio nella sua autenticità del vero senso dello scambio e di incontro.
Il libro è popolato da una serie di personaggi: Gigi de l’Orbo, Coriolano, Archide, Pallino (il gatto), Rico, Bonazzi, “il ciclista”,” il sarto” la signora Tina, così egregiamente descritti che sembra quasi di conoscerli, in queste istantanee, colme di ironia e di malinconia di tempi andati divenuti preziose pellicole della memoria.