Resteranno in Svizzera gli 1,2 miliardi di euro sequestrati ai Riva, azionisti dell’Ilva con il 90% ma espropriati all’atto dell’ammissione del siderurgico all’amministrazione straordinaria. La Corte dei reclami penali del Tribunale federale di Bellinzona, con sentenza del 18 novembre, ha infatti accolto il ricorso presentato dalle figlie dello scomparso Emilio Riva e detto no al rientro in Italia dei soldi sequestrati dai magistrati di Milano in una delle inchieste sulla gestione dello stabilimento. Quella contro Adriano Riva e due commercialisti, accusati di truffa ai danni dello Stato e trasferimento fittizio di beni: secondo i pm, i soldi sono stati distratti dalle casse dell’Ilva per essere poi trasferiti in alcuni trust nell’isola di Jersey. Nel 2009, sempre stando all’ipotesi accusatoria, sono poi stati scudati “in maniera ingiustificata” lasciandoli però depositati nei forzieri della banca Ubs.
La decisione di annullare il provvedimento con il quale a giugno la Procura di Zurigo, su richiesta della magistratura italiana, aveva disposto la revoca del sequestro del denaro perché potesse essere trasferito è motivata con la presenza di “vizi materiali e formali particolarmente gravi” nella richiesta dell’Italia. Ma soprattutto con il fatto che “l’origine criminale” di quei fondi è ritenuta da giudici “soltanto presumibile” ma attualmente “non manifesta”, per cui il trasferimento “costituirebbe un’espropriazione senza un giudizio penale”. E “non esiste una dichiarazione di garanzia delle autorità italiane secondo la quale le persone perseguite, se dichiarate innocenti, non subirebbero nessun danno“.
Il gip di Milano nell’ottobre 2014 aveva stabilito che i soldi fossero messi a disposizione dei commissari dello stabilimento e usati per il risanamento ambientale dello stabilimento. E l’11 maggio di quest’anno il tribunale, accogliendo la richiesta di Piero Gnudi, Corrado Carrubba e Enrico Laghi, ne ha disposto il rientro in Italia. Avrebbero dovuto essere trasferiti al Fondo Unico Giustizia gestito da Equitalia (in cui sono custodite le somme oggetto di sequestri giudiziari o confische) che a sua volta avrebbe sottoscritto obbligazioni emesse dall’Ilva per una somma fino a 1,2 miliardi di euro. Ma durante l’estate le figlie di Emilio Riva, dopo aver rinunciato all’eredità del padre per non essere coinvolte nelle richieste di risarcimento dei danni ambientali provocati dal siderurgico, hanno fatto ricorso. Ora accolto dai giudici svizzeri.
Si complica, così, il percorso tracciato dal governo Renzi per il rilancio del siderurgico, che attualmente incrementa le perdite di circa 50 milioni ogni mese. Non sembra un caso se in ottobre l’esecutivo ha dovuto inserire nella legge di Stabilità la previsione di un prolungamento fino a quattro anni dell’amministrazione straordinaria e di una nuova garanzia statale da 800 milioni, dopo il finanziamento da 400 milioni concesso all’inizio dell’anno.