Ma sono costituzionali, oppure no, quei 45,5 milioni di rimborsi elettorali che la Camera verserà ai partiti, entro la fine di novembre, senza uno straccio di controllo sui loro rendiconti del 2013? E’ costituzionale, oppure no, che a spartirsi il bottino siano quelle stesse forze politiche che, grazie alla loro presenza in Parlamento, si sono votate una legge per eliminare con effetto retroattivo un controllo che avrebbe dovuto essere preventivo, e così erogarsi i soldi anche in presenza di dati potenzialmente «falsi o irregolari»? E, per finire, è costituzionale che in questo modo si proceda, di fatto, ad alterare sistematicamente la vita politica del paese, facendo sostenere economicamente dallo Stato un «numero chiuso» di partiti, ai danni di altri movimenti che dispongono di risorse economiche più ridotte?
DIRITTI E ROVESCI L’accusa di “drogare” il mercato politico italiano attraverso «erogazioni irregolari e indebite», cioè i rimborsi senza controllo autorizzati dalla legge approvata in tutta fretta il 14 ottobre con i voti contrari di M5S, Sel e Lega (che, tra l’altro, dovebbe pure restituire 59 milioni allo Stato), viene dal giornalista ed ex europarlamentare Giulietto Chiesa. Che, con una diffida di 12 pagine, il 9 novembre ha invitato la Camera dei deputati, che è l’organo pagatore di quei rimborsi, a «non procedere» al contestatissimo pagamento. «La legge 175/2015 viola manifestamente i principi comunitari ed è palesemente incostituzionale nel suo eliminare, con effetto retroattivo, i controlli preventivi previsti nel 2012», spiega il legale di Chiesa, Francesco Paola. Non solo. L’ex europarlamentare, a nome del movimento Riformatori per l’Ulivo, segnala all’ufficio di presidenza della Camera un’altra conseguenza, potenzialmente devastante, del pagamento di quei 45,5 milioni senza alcun tipo di controllo: «l’erogazione indebita di ingenti e abnormi quantità di fondi elettorali» può «attribuire posizioni di dominanza politica» ai partiti che illegittimamente ne usufruiscono, a spese di quelle forze e quei movimenti che sono esclusi dai finanziamenti grazie a leggi votate dai loro stessi concorrenti sulla scena politico-elettorale. In pratica, saremmo davanti a un’alterazione della par condicio elettorale attraverso «interventi indebiti» che provocano «la cristallizzazione del quadro politico»: un gravissimo «vulnus» alla vita democratica del paese e una lesione dei diritti politici di chi si ritrova a competere alle elezioni in condizioni di chiara inferiorità economica.
PAGA MONTECITORIO Giulietto Chiesa porta alla Camera la sua personale esperienza. Eletto a Bruxelles con la lista Di Pietro-Occhetto nel 2004 e fondatore (insieme ad Achille Occhetto, Paolo Sylos Labini, all’ex sindaco Torino Diego Novelli e a quello di Pavia, Elio Veltri) dei Riformatori per l’Ulivo, è in causa da anni con Di Pietro per il mancato riversamento di quel 50 per cento di rimborsi elettorali che spettava alla componente Occhetto. Privati dei soldi con cui avrebbero dovuto ripagare i debiti contratti in campagna elettorale e avviare il loro progetto politico, i Riformatori sarebbero stati «deprivati e danneggiati in modo gravissimo nei loro diritti essenziali». Insomma: praticamente strangolati in culla dall’ex socio. E il tutto nel più totale disinteresse di quell’organo, la Camera, che erogava materialmente i rimborsi, e che Giulietto Chiesa ha addirittura chiamato nel 2009 a rispondere materialmente dei danni patiti dal movimento (la causa attualmente è in appello al tribunale civile di Roma). Al fianco di Chiesa, a firmare la diffida alla Camera c’è un altro piccolo movimento, i Democratici Solidali Liberali, che richiamandosi a Piero Gobetti hanno per statuto l’obiettivo di «monitorare le regole di democrazia e di trasparente e corretta gestione dei partiti e dei movimenti politici» anche dal punto di vista finanziario.
PASTICCIO CAMERA Ed ecco che si ritorna al punto dolente: i soldi. «Più di 45 milioni erogati sulla base di rendiconti che nessuno ha potuto e potrà mai verificare, e che potrebbero essere anche totalmente falsi o irregolari, come si è abbondamente già visto nei casi Lusi e Belsito, non sono solo uno scandalo ma un vero e proprio vulnus alla democrazia», s’indigna l’avvocato Paola. Che punta il dito anche sul palese conflitto di interessi costituzionale della Camera dei deputati: «La legge del 2012 che mandava ad esaurimento i fondi elettorali aveva istituito una Commissione di garanzia, composta da cinque magistrati della Cassazione, del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti, che doveva fare un controllo preventivo sui rendiconti dei partiti. La Commissione doveva essere ospitata dalla Camera, che a sua volta avrebbe dovuto provvedere a dotarla dei mezzi necessari al suo funzionamento. Un pasticcio incredibile». Perché? «E’ la Camera che paga i rimborsi elettorali. E a disporre i pagamenti è l’ufficio di presidenza di Montecitorio, che è composto dai rappresentanti di quelle stesse formazioni politiche che beneficiano dei rimborsi. L’incompatibilità degli interessi è evidente. E la Camera, in due anni, non ha mai praticamente obbedito alle disposizioni di legge, boicottando di fatto il lavoro dei magistrati».
FUORI CONTROLLO Nel 2014 i membri della prima Commissione si sono dimessi per protestare contro la mancanza dei mezzi e del personale necessario per operare i controlli. Quanto alla seconda Commissione, nello scorso giugno il suo presidente, Luciano Calamaro, ha di nuovo pubblicamente segnalato la paralisi dei lavori. «E’ evidente che a strangolare la Commissione di controllo è stata la Camera, governata da quegli stessi partiti che avevano e hanno interesse a ricevere i finanziamenti pubblici senza controllo alcuno», sostiene Paola. Per il momento, l’assenza di controlli riguarda solo un anno, il 2013. Ma Riformatori per l’Ulivo e Democratici Liberali non si fanno illusioni: una volta creato il precedente, l’eccezione rischia di diventare una regola.