Sono passati 35 anni da quel 23 novembre 1980, quando la terra tremò per oltre 90 secondi in un’area che va dall’Irpinia al napoletano, alla Basilicata e alla Puglia settentrionale: il terremoto provocò 2.914 morti, 8.848 feriti, 280.000 sfollati. Per la ricostruzione furono spesi negli anni circa 50mila miliardi di vecchie lire, che ancora oggi pesano sulle tasche degli italiani tra accise sul carburante e opere incompiute. Un fiume di denaro che finì anche nelle tasche della camorra.
Dopo 35 anni parla il commissario del Governo allora incaricato del coordinamento dei soccorsi, il parlamentare democristiano Giuseppe Zamberletti. Che oggi punta il dito sulla politica locale, incapace di gestire un’emergenza del genere anche a causa di un sistema di connivenze e di interessi elettorali. «Non bisogna demonizzare quanto fatto nel 1980 – spiega Zamberletti – ma va detto che il quadro emerso dall’indagine Mani sul terremoto, avviata nel 1990 dalla Commissione parlamentare d’inchiesta, riguardo alle irregolarità e le speculazioni nell’uso del denaro pubblico durante il processo di ricostruzione in Irpinia, ci invita a riflettere su come sia necessario dover gestire le emergenze, utilizzando una rete nazionale”.
Zamberletti (nella foto di Radio Perusia) rivendica che “nei primi attimi dell’emergenza e quindi nella mia gestione, sono stati utilizzati 4.684 miliardi di lire in maniera efficiente, anche grazie alla tecnostruttura che vedeva come componenti professionisti provenienti dall’itera Italia e quindi non conniventi con meccanismi locali malavitosi. Probabilmente lo spreco e le falle sono nate proprio quando il tutto è stato gestito in maniera locale e quindi anche la ricostruzione è servita a gestire campagne elettorali e interessi localistici, probabilmente amplificati da una certa debolezza delle strutture regionali che ha permesso questo”.
Un dato che però va comunque “contestualizzato, proprio perché, in questa immane vicenda, non è possibile fare di tutt’erba un fascio; e lo si evidenzia partendo dall’esempio concreto della Basilicata o dell’entroterra irpino, dove nonostante la forza distruttrice del sisma e gli ingenti finanziamenti, non vi sono state intromissioni mafiose, cosa che invece è avvenuta nelle zone calde della Campania”. Le ‘vergogne della ricostruzione’ quindi sono imputabili, secondo Zamberletti al malaffare locale, troppo spesso vicino alle organizzazioni mafiose che controllano il territorio. Ma l’onorevole ci rivela anche una seconda lettura rispetto alla mole di denaro speso. “È ovvio che una somma simile può sembrare sproporzionata per un sisma comunque di grande entità; ma nel caso dell’Irpinia la volontà di chi ha gestito la ricostruzione e quindi dei governi che si sono succeduti alla mia gestione, era quella di risollevare un territorio che viveva gravi difficoltà economiche già prima del sisma e quindi per evitare di riscostruire presepi spopolati dall’emigrazione, si è pensato alla realizzazione di aree industriali nel cratere, che purtroppo ad oggi sono simbolo di cattedrali nel deserto e dello spreco”.
Un intento, continua l’ex parlamentare democristiano, “che sin da subito io cercai di fermare, proprio perché ogni piano di sviluppo non va calato dall’alto, ma va attuato secondo strategie che prendano in considerazione le realtà locali, proprio perché le industrializzazioni forzate, spesso, si prestano a speculazioni». Negli anni si sono inseriti interessi che hanno dirottato i fondi verso aree che non ne avevano diritto, moltiplicando il numero dei comuni colpiti: 36 paesi in un primo momento, che divennero 280 in seguito a un decreto dell’allora presidente del Consiglio Arnaldo Forlani nel maggio 1981, fino a raggiungere la cifra finale di 687, ossia l’8,5% del totale dei comuni italiani.
“Va comunque rivalutata la ricostruzione del terremoto dell’Irpinia – continua Zamberletti – perché spesso ci sono anche tante critiche ingenerose che cozzano con la mole della tragedia. Basti pensare alla Basilicata e al capoluogo di regione. Non è che Potenza abbia avuto meno danni dell’Aquila. Il sisma dell’Irpinia è costituito da tanti terremoti messi insieme. L’angoscia delle dimensioni enormi dell’area colpita, giustifica anche il numero di interventi fatti. Basti pensare che ci sono stati più morti a Napoli che nel terremoto dell’Abruzzo. Quindi una cosa enorme, vissuta con l’impotenza di non avere mezzi per gestirla, non deve passare come una semplice operazione economica”.
Dopo l’Irpinia, tiene a sottolineare infine Zamberletti, “anche su spinta dell’opinione pubblica si riaccesero i riflettori sulla necessità di avere un coordinamento in grado di organizzare tutte le operazioni di soccorso, ma soprattutto s’iniziò a parlare di prevenzione. Il peccato originale era la mancanza di competenze e l’impossibilità di avviare una vera e propria stagione della prevenzione dei rischi”.
Di Andrea Gisoldi