La foto rubata ad un angolo di un boulevard ritrae un gruppo di pompieri che trasporta una barella, ai loro piedi lenzuola insanguinate coprono alcuni cadaveri, in fondo all’immagine sulla sinistra un titolo eloquente: Just Terror. Si presenta così ai suoi “lettori” il nuovo numero di Dabiq, il magazine online del Califfato islamico giunto alla dodicesima pubblicazione, che si può scaricare da qui. Il dettaglio tragico e concitato della strage parigina del 13 novembre 2015 è il lancio di copertina che, dopo l’indice degli articoli, viene ripreso a pagina 2 con tanto di foto del “codardo” Hollande e un’altra foto con in primo piano un ragazzo ferito durante la mattanza parigina e la scritta: “L’incubo in Francia è solo all’inizio”.
Anche se a pagina 3 il resoconto, anonimo, è più orientato sui “motivi” che hanno provocato l’altro attentato, quello compiuto sul Metrojet russo il 31 ottobre scorso provocando 219 morti. Due le fotografie rivelazione di Dabiq: quella dell’ordigno originale a forma di lattina che è stato usato nell’attentato, e quella dei passaporti dei sedicenti attentatori. Sempre nell’ “editoriale” della rivista vengono riportate le parole del califfo dell’Isis, Abu Bakr al-Baghdadi: “Con il permesso di Allah verrà un giorno in cui il musulmano camminerà con onore, ovunque e a testa alta, venerato come un maestro, e la sua dignità difesa. Chiunque oserà offenderlo sarà castigato, e qualsiasi mano si protenderà per fargli del male sarà tagliata”.
La rivista prende il nome da una piccola città nel nord della Siria, nei pressi di Aleppo, dove, secondo i precetti escatologici della Sunna, si svolgerà una lotta apocalittica tra le forze del cristianesimo e dell’Islam. Patinato come ogni magazine che si rispetti, pubblicato in diverse lingue ma destinato soprattutto ai lettori di lingua inglese, Dabiq ha iniziato le pubblicazioni nel luglio 2014 con una copertina intitolata “Il ritorno del Califfato” e ha perfino dedicato un intero numero, l’otto, al continente nero: La Sharia dominerà da sola l’Africa. Su ogni pagina di Dabiq ci si occupa di tematiche religiose e militari con un linguaggio pomposamente celebrativo delle gesta di guerra e un’enfasi misticheggiante fatta di continue citazioni tratte dai precetti religiosi che governano e supportano le azioni dell’Isis. Difficile però trovare servizi “terzomondisti” che mostrano miseria e distruzione dopo i declamati bombardamenti “occidentali”. Dabiq è una vera rivista di propaganda ideologica. “A volte lo stile ha la minaccia beffarda di un pamphlet comunista degli anni Trenta”, spiega in un editoriale il New Yorker. “Ma piuttosto che offrire imprecazioni contro i capitalisti o i “riformatori”, gli sberleffi proposti da Dabiq sono contro i “crociati”, gli “apostati”, gli ebrei, i paesi di Iran e Arabia Saudita, e di altri componenti dell’area islamica”.
Nell’ultimo numero, Just Terror, i richiami ad azioni e scenari di guerra sono variamente assortiti: ci sono rimandi agli attentati dell’11 settembre 2001, un approfondimento sullo stato delle operazioni militari nel Bengala (Est India), un articolo dedicato alle divisioni dell’Occidente sul fronte siriano, ma soprattutto le ultime pagine della rivista vengono occupate da due patchwork fotografici con uomini in tuta arancione, bendati e colanti sangue: “Il destino di due prigionieri”. Ma è sull’educazione e l’istruzione dei figli di musulmani nelle scuole occidentali che si concentra la descrizione delle depravazioni occidentali antislamiche. A scuola i bambini verrebbero indottrinati alla “tolleranza (…) e gli insegnano a rispettare le altre religioni, quindi a tollerare e a rispettare i sodomiti”, c’è scritto a pagina 35 della rivista. Viene poi criticato un presunto metodo “scientifico” che metterebbe in discussione Allah ma, scrivono, “c’è di peggio”: insegnare ai bimbi ad accettare ogni “devianza religiosa e perversione sociale perché le scuole degli infedeli (“kuffar”) incoraggiano i bambini all’ “idolatria” e a feste come “Natale, Halloween, e Pasqua”. L’articolo è corredato in chiusura da una foto di un gruppo di ragazzini combattenti vestiti in mimetica, con mitra a tracolla e Corano in mano.