L’Isis? Un mucchio di assassini con una certa abilità nel maneggiare i social media”. La definizione è del presidente Usa Barack Obama. “Allah benedica Twitter e Telegram che sono la nostra forza per la guerra santa”. La definizione è di un account di chiara matrice jihadista che il Fatto Quotidiano ha monitorato in quest’ultima settimana. Nelle ore del blitz a Bruxelles, il ministero dell’Interno belga chiede a giornalisti e utenti dei social network di non pubblicare informazioni sugli spostamenti della polizia, per non fornire elementi utili alla fuga dei soggetti sospettati. Sulle bacheche ne scaturisce un diluvio di gattini. Ma che accade sui profili Facebook e Twitter che scrivono in arabo?

Digitando la parola “Bruxelles” si scopre che il clima cambia radicalmente. Negli stessi minuti in cui la polizia belga cinge d’assedio i quartieri di Bruxelles c’è chi consiglia di “attaccare” fuori dal perimetro controllato dalle forze dell’ordine. Di dialogo in dialogo si approda in account che durano il tempo di poche ore. Nascono e muoiono. Il concetto chiave è sempre la stesso: “I fratelli hanno bisogno di nuovi account di riferimento”. E c’è chi ha il compito di fornirglieli.

Tutto confluisce verso alcuni protagonisti della guerra cyber targata Isis. Sono loro i signori degli account. Ne monitoriamo quattro. Si definiscono uomini del Jihad. Ed è a loro che si rivolgono, a decine, in una manciata di minuti, per chiedere nuovi indirizzi da utilizzare. “Lascio aperto questo account – scrive uno di loro – per testimoniare che i combattenti possono affidarsi a Twitter per combattere la guerra santa”. In pochi minuti sparisce. Ricompare con la stessa fotografia ma con un altro nome. I followers si ricompattano sul nuovo indirizzo. Lui digita: “Uscire adesso”. “La nostra guerra sarà implacabile”, scrive ancora.

È difficile comprendere se dietro questi nickname si celino combattenti operativi sui campi di combattimento del terrorismo. Di certo sono operativi nella propaganda pro jihad e, soprattutto, nello scambio di informazioni che, a quanto pare, non transitano su Twitter ma su altre piattaforme. L’impressione è che usino Twitter come una piazza virtuale dove incontrarsi, utilizzando account sempre diversi, ma con uno scopo preciso: darsi appuntamento su altre chat dove comunicare con maggiore sicurezza.

“Ecco dove potete registrare i vostri account senza lasciare la vostra email e o il vostro numero di telefono”, twitta uno di loro segnalando un ennesimo indirizzo internet. Nel frattempo continuano a commentare sui “soldati di Bruxelles”. Ironizzano sul terrore che sta attanagliando la capitale belga: “Ma se adesso si comportano così, cosa accadrà quando avranno a che fare con dei terroristi veri?”. Mentre la polizia belga sta setacciando i quartieri della capitale, un piccolo esercito si muove sui social network, e sembra intenzionato a controllare loro. Mentre gli account belgi twittano foto di gattini, per non disturbare le operazioni di controllo, quelli arabi seguono la vicenda dandosi appuntamento su altre piattaforme.

Non ci ritireremo” digita uno di loro. E non si tratta di gente che commenta per il gusto di farlo. Non è folklore. Altrimenti non si spiegherebbe la costante necessità di passare da un account all’altro per poi incontrarsi nuovamente tra loro. “Sono un corrispondente di guerra” si digita ancora, menzionando Bruxelles, quando l’operazione della polizia belga in tarda serata entra nel vivo. “Continuo a darvi consigli per la guerra santa” è la risposta di un altro account. “Questo è il supporto per altri account, fratelli” è la continuazione del dialogo. “Si parte” commenta un altro. A mezzanotte i dialoghi continuano con altri nickname e con le stesse fotografie identificative. Sembra incredibile ma, il numero dei followers, resta identico anche quando il soggetto cambia l’account: sono oltre duemila, per il nuovo nickname che stiamo monitorando, nonostante il suo breve ciclo di vita conti appena due tweet.

Poi all’improvviso tutto tace. Ed è un’altra strana coincidenza. Tutto tace – tra questa dozzina di utenti – proprio quando la polizia belga annuncia il termine delle operazioni. Ma è solo apparenza. I dialoghi continueranno su altre piattaforme, sulle chat dove questi combattenti nella rete s’incontreranno, dopo aver preso come al solito appuntamento qui, su Twitter. “Non perdete la speranza. La nostra speranza, combattenti, ringraziando Allah è qui su Twitter”, digita uno dei dispensatori di account sicuri. Poi scompare. E di lui, sul social network più efficace del mondo, non resta che la seguente traccia: “Spiacenti, questa pagina non esiste”.

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