S’intitola Certi momenti (Chiarelettere), l’ultimo libro di Andrea Camilleri. Ma potrebbe intitolarsi anche Grazie perché è un tributo agli incontri “durati un momento oppure una vita che hanno determinato una sorta di cortocircuito dentro di me”. Ossia quegli incontri “che hanno provocato un primo momentaneo distacco e poi una sorta di maggiore illuminazione dentro di me. Gli uomini, le donne e i libri che racconto in questo breve testo hanno rappresentato delle scintille, dei lampi, dei momenti di maggiore nitidezza: e per questo ho voluto ringraziarli”.
Le tracce sono molte, e a volte ti sorprendi. Perché se pensi sia ovvio imbattersi in grandi scrittori come Gadda, Tabucchi, Pasolini, Vittorini o Primo Levi, molto meno scontato è il ritratto del pastore cantastorie o di una sconcertante Federala che arringa le donne con la propaganda per il Duce, ma regala una pubblicazione clandestina di Giustizia e Libertà al giovane Andrea. Tra le pagine più intense c’è la sua confessione – durata tre ore – con il vescovo di Livorno prima di cresimarsi per potersi sposare in chiesa. Alla fine dice: ”Le ore trascorse a dialogare con il vescovo sono rimaste marchiate per sempre, non solo nella mia memoria, ma anche nel mio cuore”
Che rapporto ha con la religione?
Premetto che i pochissimi rapporti che ho con la religione passano e sono passati attraverso il rapporto che ho con gli uomini. Quel vescovo prima ancora di essere un uomo di fede era soprattutto un anziano signore, molto fine, molto colto e molto saggio. Ebbe l’intelligenza di parlarmi con le parole dell’esperienza, parole terrene ma alte, quelle che giustamente s’incisero su di me. Oggi, a novant’anni, continuo a considerarmi un non credente con una grande invidia verso coloro che hanno una fede quale che essa sia.
Di tutti gli incontri del libro, uno particolarmente toccante è quello con Pippo Perna, compagno di scuola ebreo, allontanato dopo le leggi razziali. Al di là delle circostanze, veramente letterarie, del vostro fortuito rincontro negli Anni 80, colpisce il fatto che lei abbia continuato a sognare il suo amico, per anni.
Non è che l’ho sognato per anni subito dopo il suo allontanamento, mi è ritornato prepotentemente alla memoria e da sveglio, appena sono cominciate a trapelare le notizie dell’Olocausto. È stato naturale allora l’insorgere della domanda sul destino del mio amico. Se era riuscito a scamparla o se di lui non restava neppure la cenere…
Da poche settimane è trascorso l’anniversario della morte di Pier Paolo Pasolini. Con cui – ci racconta – vi trovaste subito reciprocamente antipatici, dalla prima cena a casa di Laura Betti. Di Pasolini sono rimasti soprattutto Gli scritti corsari: perché come letterato è stato sostanzialmente dimenticato?
Io ho una mia personale idea che può essere criticabilissima circa Pasolini letterato. E cioè che Pasolini sia stato uno dei più grandi poeti italiani del secondo Novecento ma che lo scrittore di Ragazzi di vita fosse ben lontano dall’altezza raggiunta con i suoi versi. Credo però che sia assolutamente non equilibrato puntare solo sugli Scritti Corsari e tenere in ombra le poesie che invece avevano una forza di impatto, una valenza pari se non superiore agli Scritti.
Lei è stato in carcere una notte, a 18 anni per aver pubblicato – a due mesi dallo sbarco degli Alleati in Sicilia – un giornale che “sarebbe stato il primo assoluto dell’Italia democratica”. Il capitolo è dedicato al suo compagno di cella, il suo angelo custode. In quelle pagine si racconta anche di “Bacio le mani”, titolo del primo numero dedicato “ai fascisti locali che stavano cercando di rifarsi una verginità con i fascisti”. La “voltagabbaneria” è una malattia italiana?
Secolare! La voltagabbaneria comincia già dal primo Parlamento italiano. Basta guardare l’evoluzione di un personaggio come Francesco Crispi per avere subito la visione di ciò che sarebbe accaduto nel corso di tutta l’Italia Unita, nella nostra politica. Una volta almeno il voltar gabbana suscitava scandalo e scalpore, oggi voltano gabbana a plotoni serrati e questo sembra rientrare nella normalità di tutti i giorni. Ormai, come si dice, alla voltagabbaneria c’abbiamo fatto il callo.
Livio Garzanti se la prese con lei quando pubblicò con Sellerio un libro promesso a lui. Lei ha pubblicato con numerosi editori: da Mondadori a Sellerio appunto, ma anche Laterza, Rizzoli e Chiarelettere. Secondo molti la possibilità di pubblicare con più editori è garanzia di libertà. Che cosa pensa dell’affare Mondazzoli?
In questo momento non penso nulla, ma mi fa molta paura immaginare chi tra qualche anno potrà acquistare questo polo editoriale così appetibile e per farne cosa.
Di Arthur Adamov – maestro del teatro dell’assurdo, morto suicida a 62 anni – scrive che è stato ingiustamente dimenticato. Con lui intratteneva una corrispondenza che si è interrotta nel 1968: “Fino a quando sognò solitario, scrisse testi teatrali di grandissima, inarrivabile suggestione. Ma volle condividere un sogno comune, e quando questo sogno s’infranse egli non seppe resistere alla profonda depressione nella quale era caduto”. Perché?
Adamov era un uomo non inquadrabile politicamente. Incapace di sottostare a una qualsiasi disciplina di partito. Era un uomo troppo “libero”. Nel Maggio francese, in quella enorme esplosione di libertà, anche creativa, egli credette di trovare quella possibilità di libertà assoluta di un mondo aperto alla fantasia, alla creatività, all’innovazione che poi non trovò mai. E quando questo sogno s’infranse, lui che credeva veramente nella fantasia, nella creatività, nell’innovazione non riuscì mai più a ritrovare i frammenti per ricomporre se stesso.