Il tempo passa totalmente invano, l’esperienza non insegna nulla ed i richiami del presidente della Repubblica alla responsabilità istituzionale in un momento particolarmente “critico” cadono nel vuoto: per l’elezione dei giudici della Consulta si sta assistendo al copione noto e analogo a quello a cui abbiamo assistito in un recente passato quando Pd e Fi si erano inchiodati al tandem Donato Bruno–Luciano Violante.
Allora, era il settembre del 2014, all’ombra del Nazareno Renzi e Berlusconi, ignorando l’esistenza del M5S, volevano imporre un impresentabile, ‘amico’ di Previti, “negazionista” degli abusi e delle violenze alla Diaz, nonché indagato per interesse privato abbinato a Luciano Violante molto ben accreditato come ex “giustizialista” convertito al verbo “garantista” di Arcore.
Oggi, come se il tempo si fosse fermato, il Pd, Fi e Ap pensano di poter eleggere i loro candidati senza tener conto dell’opposizione ed in particolare del M5S con cui non hanno ottenuto un accordo secondo le loro logiche ed imponendo nomi che se non impresentabili “tecnicamente” sono indissolubilmente legati alle pagine più ingloriose delle nostre istituzioni o destano qualche perplessità. Il candidato di Fi a cui il partito non vuole rinunciare è Francesco Paolo Sisto che non è solamente il difensore di Fitto e Verdini. Infatti l’avvocato-deputato barese già componente della Commissione Giustizia è stato uno dei più valenti “crocerossini” di B. secondo la definizione calzante di Luigi Li Gotti e si è segnalato non solo nella farsa parlamentare su “Ruby nipote di Mubarak” ma anche per l’emendamento al ddl corruzione che con l’aggiunta dell’aggettivo “patrimoniale” avrebbe azzerato la concussione e dunque il processo all’allora presidente del Consiglio.
Il capogruppo del Pd a Montecitorio Ettore Rosato accusa il M5S di essere l’unico gruppo che non si è voluto accordare e che non vuole pregiudizialmente prendere parte ad un voto “condiviso” ponendo veti “irricevibili” sulle candidature altrui, benché gli riconosca di aver espresso un nome di “grande valenza” quale è quello del costituzionalista Franco Modugno.
Alla luce dell’esito scontato della ventisettesima votazione in cui nessuno dei candidati dell’ammucchiata partito della Nazione più ex-Nazareno ha raggiunto la soglia dei 571 voti necessari si impone una domanda forse troppo semplice: perché come ha fatto il M5S, i partiti non fanno proprio esclusivamente il criterio della “grande valenza” insieme a quelli minimale del decoro istituzionale e del non coinvolgimento in indagini e/o inchieste in corso?
Così sarebbero automaticamente depennati i candidati a cui Fi e Pd hanno ribadito di non voler rinunciare: l’avvocato-legislatore Franco Sisto che oltre al manifesto conflitto di interessi ha dimostrato scarso decoro istituzionale facendosi paladino ufficiale della barzelletta su Ruby ed il costituzionalista Augusto Barbera che, al di là della competenza specifica, compare nelle intercettazioni della procura di Bari in un’inchiesta sull’Università, anche se solo come interessato alla carriera di un giovane che gli sta a cuore. Per non parlare di Giovanni Pitruzzella, candidato di Scelta Civica, nel cui curriculum spiccano la nutrita collezione di consulenze in Sicilia e la vicinanza a Totò Cuffaro e Schifani.
Vale solo la pena di ricordare en passant che accanto al nome di Franco Modugno era stato ventilato sul fronte di Fi quello di Giovanni Guzzetta, già lanciato e bruciato nel 2014, ma secondo un consolidato copione ne sono perse le tracce a favore del ben più “blasonato” Paolo Sisto.