C’era una città dove la buona amministrazione pareva potesse vincere: Milano poteva andare serena alle elezioni del 2016 con la quasi certezza di vedere premiata l’esperienza “arancione” del sindaco Giuliano Pisapia. Poi invece Pisapia ha fatto l’annuncio: “Non mi ricandido”. Ed è rimasto per mesi a guardare l’effetto che fa. Così è cominciato il caos Milano. Nessuno capisce che cosa succederà. Chi saranno davvero i candidati del centrosinistra alle primarie? Ci saranno le primarie? Quando si faranno le primarie? Il 7 febbraio, avevano deciso a Milano. Il 20 marzo, dice Matteo Renzi a Roma. Così infuria la battaglia del calendario, che nasconde però una guerra più sotterranea e devastante, quella sulla continuità o sulla rottura del “modello Milano”.
Che cos’è il “modello Milano”? È un’anomalia, dicono in tanti. Una felice anomalia, sottolinea qualcuno: nata dalla capacità di tenere insieme tre componenti: il Pd, la sinistra, i movimenti civici senza partito. Questo è stato, dal punto di vista politico, la giunta Pisapia. Ora c’è chi dice che bisogna continuare su questa strada e vincere; e chi (una parte del Pd) sostiene invece che “bisogna andare oltre”. Lo ha detto chiaro l’assessore renziano Pierfrancesco Maran: “Credo si debba cambiare pelle e dire con chiarezza che nel 2016 dobbiamo pensare alla Milano del 2021 e non a quella del 2011 e che anche le ragioni di quella vittoria non si salvano custodendo come una reliquia la campagna del 2011, ma dimostrando che sappiamo aprire le porte a quei milanesi che investono nel futuro della città”. Insomma: signori, si cambia. E il cambiamento ha la faccia di Giuseppe Sala, il commissario di Expo che piace tanto a Matteo Renzi.
Settimana prossima i capetti del Pd milanese – che da soli non vincerebbero neppure un’assemblea di condominio – andranno a Roma a prendere la linea. Se Renzi insisterà su Sala e se Sala avrà voglia di entrare in un tunnel di problemi che durerà cinque anni più una lunga campagna elettorale, il “modello Milano” sarà morto e l’anomalia sarà normalizzata, per fare posto al Partito della Nazione. I Maran e i Pietro Bussolati (il segretario metropolitano del Pd) consegneranno la città a un uomo che poi mica ascolterà Maran o Bussolati, ma – se riuscirà a vincere – parlerà direttamente con Bruno Ermolli, il gran consigliere di Silvio Berlusconi, e con Marco Carrai, l’uomo che sussurra a Renzi.
C’è un solo uomo che può fermare questa deriva: si chiama Giuliano Pisapia. A lui lo stesso Renzi ha affidato la gestione della sua successione. Finora Giuliano è stato zitto, impuntandosi solo su un punto: il candidato, chiunque sia, deve essere scelto con le primarie e non unto dall’alto del Nazareno (come Sala sperava, senza quella scocciatura di doversi confrontare con altri candidati). Poi Pisapia ha visto che il caos aumentava e anche i rischi di far naufragare tutta l’esperienza milanese. E allora ha cominciato a dire qualcosa. Tipo: “Dobbiamo avere il coraggio di sfidare chi sembra più forte e non lo è. E chi vuole capire capisca”. Tutti hanno capito che si riferiva a Sala. Ora, appena smesso di fare la Pizia, Pisapia potrebbe dire più chiaramente che Sala si può candidare, se vuole, ma che bisogna sfidarlo con una candidatura “arancione” che tenga vivo il “modello Milano”. Quella di Francesca Balzani, assessore al Bilancio e vicesindaco, parlamentare europea per il Pd ma aperta al dialogo con i senza partito? Magari in alleanza con Pierfrancesco Majorino, già candidato alle primarie con il sostegno di Sel e sinistra Pd? “Mi schiererei per un candidato solo se fossimo in una situazione disperata”, ha detto Pisapia. Ma forse sarebbe meglio non aspettare che lo diventi.
Il Fatto Quotidiano, 26 novembre 2015