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Miley Cyrus e le altre: per farsi ascoltare bisogna tirare fuori le tette?

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Miley Cyrus in concerto a Barcellona

Per carità. Non è lei in sé o il personaggio che si è voluta creare a tutti i costi. Non sono le tette e manco il dildo. Non è nemmeno l’urticante sensazione di assistere al brutto déjà vu della Madonna anni Novanta.

Ma facciamo un passo indietro…

Nella prima data del suo mini tour in America, Miley Cyrus ha subito giocato la carta provocazione, presentandosi sul palco sempre più nuda e scandalosa.

Icona della sessualità a tutto tondo (definisce se stessa pansessuale), tra le foto scattate da Terry Richardson per Candy Magazine – rivista fashion dedicata alla celebrazione della transessualità e androginia – svetta Miley mentre mima una autofellatio con un dildo nero.

Alla rivista e al suo bacino di followers, non proprio due gatti (24 milioni su Twitter e 31 su Instagram), Miley spiega che: “Se fai vedere le tette la gente ti guarda. E a quel punto puoi sfruttare quello spazio per farti ascoltare”.

Siamo sicuri che una volta mostrata al mondo la propria mercanzia, i nostri interlocutori riescano ad andare oltre la misura del seno o la forma del capezzolo?

Se io avessi davanti un uomo nudo, francamente non credo potrei intavolare con lui una discussione di geopolitica o commentare la legge di stabilità. Ma forse sono io, e questo è un mio limite.

Penso però che la voglia di essere ribelli, spregiudicati, autoproclamarsi liberi e senza tabù per offrire al mondo una chiave di lettura oltre la sessualità (aspirando a concetti più alti), nasconda invece il solo scopo di vendere di più. Insomma, che sotto il vestito… niente.

Con l’effetto collaterale che a furia di guardare tutti questi centimetri di pelle e peli si intensifichi lo sfruttamento del corpo della donna visto come ‘cosa’ da guardare, fine a se stessa.

Miley non è certamente l’unica, né la prima. Le Femen usano il loro corpo per battaglie femministe importanti (sessismo, turismo sessuale e condizione della donna in generale in Ucraina) ma la scelta di quella modalità specifica non è esente da critiche o perplessità.

Temo che il rischio sia quello di diventare delle macchiette a cui, dopo una prima sbirciata, nessuno dia più ascolto.

“Rigida perbenista, invidiosa delle tette taglia seconda di Miley che stanno su impertinenti! Mica come le tue, che dopo tre figli, per reggersi in piedi avranno bisogno di un’impalcatura alla Moira Orfei”. Le voci dei dissidenti pro topless passano dalle fibre ottiche e arrivano alle mie orecchie…

Eppure le donne – artiste o comuni – nel passato hanno sempre combattuto battaglie importanti, universali, a favore di altri, usando il cervello, il cuore o la loro arte.

E sono state ascoltate (forse non sempre apprezzate) senza dover tirar fuori le zinne.

Se pensiamo solo alla categoria cantanti, Nina Simone ha usato i suoi testi e la sua musica, anche in modo violento, per attaccare gli Stati Uniti e la discriminazione dei neri.

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Sinead O’Connor non ha certo usato mezze misure per parlare degli abusi sui minori della Chiesa Cattolica in Irlanda.

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Annie Lennox è stata insignita dalla Regina del titolo di Ufficiale dell’ordine dell’Impero britannico per la sua lotta contro l’Aids e per i diritti delle donne in tutto il mondo.

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Donne toste, certamente non convenzionali, che hanno detto qualcosa e la società gli ha dato ascolto.

Ma forse quelli erano altri tempi, lo sviluppo non si arresta, l’umanità guarda avanti e nel 2015 quello di cui veramente c’è bisogno è cchiù tette pi tutti.

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