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Portogallo, svolta alla greca per l’ex allievo ubbidiente della troika. Ma il nuovo premier Costa ha le mani legate

Secondo gli analisti Lisbona non prenderà la china di Atene. Dopo il varo del governo a guida socialista, i paralleli non mancano. La differenza è che in questo caso il presidente Silva sta facendo le veci dei creditori internazionali. Difendendone gli interessi

Il Portogallo non sarà un’altra Grecia, dicono tutti gli analisti. Ma esistono indubbie affinità nell’evoluzione politica ed economica dei due Paesi. Come è noto a Lisbona, a seguito delle elezioni del mese scorso, governerà un esecutivo socialista: il presidente Aníbal Cavaco Silva ha dato l’incarico ad António Costa, leader del Ps, dopo che i conservatori di Passos Coelho, pur avendo vinto alle urne, non erano riusciti ad ottenere la maggioranza in Parlamento. Il governo di Costa, che avrà al suo interno membri socialisti oltre a qualche deputato indipendente, sarà sostenuto anche dal Partito Comunista e dal Bloco de Esquerda, la versione portoghese di Syriza. E per la prima volta nella storia del paese i comunisti portoghesi non saranno all’opposizione.

Ma ecco che prima di assegnare l’incarico, il presidente ha fatto firmare a Costa una lettera: dichiara di dover rispettare gli impegni internazionali con l’Europa e con la Nato. Lecito chiedersi: quali sono i punti di contatto con la crisi che Atene ha vissuto dal 2012 e che ha avuto una nuova escalation quest’anno? Se a Lisbona la mano della troika ufficialmente non c’è, come pesare la mossa del capo dello Stato che in quella missiva chiede fedeltà preventiva all’Alleanza atlantica e all’Ue? Ecco alcuni parallelismi e differenze tra Portogallo e Grecia.

Centeno non è Varoufakis – Rispetto al trend eurogreco, un elemento che potrebbe evitare il rischio di un conflitto risiede nella scelta del ministro dell’economia: Mário Centeno, fresco di un dottorato ad Harvard. Avrà il compito di convincere il capo dei falchi pro austerità dell’Ue, il ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schäuble, che le promesse del suo governo di ridurre le tasse ai bisognosi e mettere fine ai tagli a pensioni e stipendi del settore pubblico non aumenteranno il debito portoghese. Che attualmente, in rapporto al Pil, è il secondo della Ue dopo quello greco. Yanis Varoufakis, invece, aveva esordito con il preciso progetto di ridurre il debito ellenico e di stralciare il memorandum sottoscritto con la troika. Condizioni che sei mesi dopo hanno portato alle sue dimissioni. Altra differenza si ritrova alla voce energia. Il ministro greco del primo governo Tsipras era il filorusso Panaghiotis Lafazanis, pronto ad aprire le porte a Mosca per le privatizzazioni del porto di Salonicco e delle ferrovie statali Treinose: scenario poco gradito a Berlino e a Washington. Lafazanis, dopo la caduta del governo e la decisione di Tsipras di rinnegare il programma elettorale di Syriza ha abbandonato il partito del premier fondando il movimento Laikì Enothita, con cui ha mancato di un soffio l’elezione nel settembre scorso. E gli interlocutori moscoviti di fatto non hanno più in agenda operazioni sulle utilities di Atene.

A Lisbona il presidente ha fatto le veci della troika – In Grecia la longa manus della troika ha prima imposto la sostituzione di Varoufakis e, solo dopo, il “ricattoopportunità” di un terzo memorandum, più pesante dei precedenti in termini di obiettivi da raggiungere. Ma con la spada di Damocle dei controlli sui movimenti dei capitali e le banche chiuse per settimane. I bancomat bloccati hanno avuto l’effetto di spaventare in maniera decisiva gli elettori. Che di fatto hanno rivotato Syriza a settembre ma in modo diverso. In Portogallo la troika ufficialmente non è intervenuta ma il capo dello Stato di area Ppe ne ha fatto le veci. Alle elezioni del 4 ottobre i conservatori di Passos Coelho hanno perso la maggioranza assoluta. Ma quando i tre partiti di sinistra – Partido Socialista, Bloqueo de Izquierda e Partido Comunista/Partido Ecologista Os Verdes – che insieme superavano la maggioranza dei voti (oltre il 60%) e la maggioranza assoluta dei seggi si sono detti disposti a comporre un governo di coalizione, il capo dello stato Silva ha detto no. E ha respinto l’offerta da parte del leader dell’opposizione socialista di formare un governo di maggioranza con la giustificazione che un esecutivo allargato alla sinistra radicale avrebbe spaventato i mercati, l’Europa e la Nato.

Il verdetto delle urne – Altro parallelismo (ma con una macro differenza) si trova alla voce urne: in Portogallo dopo anni di austerità è arrivato un risultato sorprendente. Il conservatore Coelho lo scorso 4 ottobre ha vinto pur avendo varato misure di austerità lacrime e sangue. I portoghesi hanno quindi mostrato di abbandonare ogni forma di lotta, forse intimoriti dalla lezione data da Bruxelles a Syriza. La lista “Portogallo Avanti” ha preso il 36,8% ma non la maggioranza assoluta. Segno che la maggior parte dei cittadini ha scelto la via dei sacrifici. In Grecia invece, a gennaio, uno Tsipras in versione “anti troika e anti Bruxelles” ha vinto nettamente sulla scia dell’opposizione al memorandum, anche se fu costretto ad allearsi con la Destra di Anel. Replica il 4 luglio al referendum contro i sacrifici, con il 61% dei greci schierati per il no alla troika. Mentre il 20 settembre scorso Tsipras ha sì rivinto le elezioni anticipate, ma con un programma diametralmente opposto: sì ad altri tagli e al programma europeo di riforme, con il rischio che entro dicembre ci potrebbe essere un nuovo taglio alle pensioni qualora gli obiettivi non venissero raggiunti.

In Portogallo i radicali non entreranno nell’esecutivo – I partiti radicali del Portogallo non entreranno nel nuovo governo, ma garantiranno un appoggio esterno. Tsipras invece ha traghettato la stragrande maggioranza della nomenklatura di Syriza nel suo primo governo lo scorso gennaio. Con posizioni precise e integraliste su molteplici tematiche come il taglio del debito, l’appoggio diretto allo stato palestinese, l’antiamericanismo, la lotta al clero ortodosso. Salvo poi fare marcia indietro nell’esecutivo nato lo scorso settembre, con un sensibile ammorbidimento sui dossier più delicati. In secondo luogo Lisbona non è, né formalmente né ufficiosamente, in conflitto con Bruxelles. E non lo è stata in questi anni di protettorato sotto il memorandum. I portoghesi hanno deciso, almeno sino a questo momento, di evitare contrapposizioni frontali con i creditori internazionali, mentre il duo Tsipras-Varoufakis si è distinto nei primi quattro mesi di governo per un aspro muro contro muro con Ue, Bce e Fmi.

Vulnus alla democrazia – In entrambi i paesi c’è un vulnus di metodi e democrazia. In Grecia si è verificata la reazione fisica dell’Ue con la mossa del capital control (dopo che il referendum aveva parlato chiaro) che ha influito sulla scelta democratica elettorale. In Portogallo i cittadini non hanno nemmeno provato a reagire, segno di uno stato di terrore europeo. Il socialista Costa, commentando il suo secondo posto alle elezioni, al Financial Times, ha detto: “Davanti al radicalismo dell’attuale governo (di centrodestra) e alle brutali misure che il paese ha subito, esiste la possibilità di fare marcia indietro sull’austerità senza mettere in discussione i nostri obblighi internazionali”. Più o meno le stesse parole dello Tsipras della prima ora. Forse per questo Silva non si fida e ha fatto firmare al leader del Ps la lettera di promesse pro Ue e pro Nato. Che di fatto lo commissariano.