Le prime 15 banche Usa e le prime 8 banche europee hanno effettuato accantonamenti per totali 219 miliardi US$, dal 2008 a tutto il 2014, per coprire il prevedibile costo delle “litigation”, le cause che le vedono accusate di una serie di condotte considerate contrarie alla legge e alle regole di mercato: manipolazione dei mercati dei cambi, del Libor, mutui “sub-prime”, accuse di riciclaggio. I problemi esistono; ma le misure prese dalle top 23 banche come si sono evolute? Sono sufficienti a coprire i costi e le multe che potrebbero colpirle? Sono prevedibili ulteriori costi? Chi paga? Vediamo brevemente di toccare questi punti “sensibili”. Gli accantonamenti a bilancio sono progressivamente cresciuti dal 2008 (quando furono circa 5 miliardi US$) sino ai quasi 60 miliardi nel 2014, per un totale di 219 miliardi: 80 miliardi per le banche europee, 139 miliardi per quelle Usa.

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Una dinamica che chiarisce la situazione di difficoltà del sistema bancario e che probabilmente si acuirà ulteriormente nei prossimi anni. Sinora l’impatto sui bilanci è stato importante: per la sola Bank of America gli accantonamenti fatti fra il 2008 ed il 2014 sono stati 70 miliardi, la metà del patrimonio della banca a fine 2014; JPMorgan ha invece accantonato 40 miliardi. Un’evoluzione che conferma un fatto evidente: le banche hanno effettuato accantonamenti nella consapevolezza che “something went wrong” e che è bene “mettere fieno in cascina” perché organi di controllo Usa ed europei, tribunali, associazioni di categoria che hanno avviato “class action” non abbasseranno la guardia e chiederanno (e otterranno) indennizzi “monstre” come sanzione per i comportamenti illeciti delle banche (ed i dati si riferiscono solo alle prime 23 più importanti).

In termini concreti: gli accantonamenti fatti fino a questo momento potrebbero essere una frazione, forse piccola, del costo che le banche dovrebbero sostenere per pagare i futuri indennizzi sanciti eventualmente da tribunali e autorità di controllo. Attendiamoci allora ulteriori costi e richieste di indennizzi. Gli utili delle banche saranno sufficienti a coprire questi costi? In caso positivo, gli azionisti potrebbero vedere azzerati, o ridotti in modo significativo, i dividendi e quindi una valutazione ridotta degli investimenti nel capitale delle banche. In caso negativo, gli azionisti sarebbero chiamati a mettere mano a onerosi aumenti di capitale: negli Usa, le autorità di controllo (Financial Stability Board, SFB; Federal Reserve; Office of Comptroller) hanno deliberato un aumento del livello di capitale primario oggi pari all’11,3% del totale di bilancio ed è previsto un ulteriore “cuscinetto” del capitale, che per le top banks Usa potrebbe significare maggiori fondi richiesti di 1.000 miliardi US$, entro il 2018.

Il costo finale cadrà sugli azionisti, sia in termini di ridotti dividendi che di aumenti di capitale. Con un particolare non secondario: molti fondi Usa (in particolare, fondi pensione) hanno nel loro statuto l’obbligo di non investire in prodotti e azioni di banche sottoposte a misure e condanne, siano esse civili o penali; un ulteriore “pain in the neck” per le tante banche che dovessero avere necessità di nuovo capitale. Secondo Moody’s la situazione descritta vale per le principali banche mondiali; ma, seppure per singoli ammontari non così significativi, è prevedibile una replica. E non sarebbe un successo di pubblico.

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