Secondo i pm di Perugia Renato Cortese, Maurizio Improta e gli altri poliziotti coinvolti hanno omesso di attestare che la donna si identificava come moglie del dissidente-ricercato kazako Ablyazov pur conoscendone le sue generalità
Sequestro di persona, ma anche omissione di atti d’ufficio e falso. All’indomani dell’iscrizione nel registro degli indagati di due dirigenti e altrettanti poliziotti coinvolti nella vicenda dell’espatrio forzato di Alma Shalabayeva, emergono nuovi particolari sul provvedimento dei magistrati di Perugia. Renato Cortese, Maurizio Improta e altri due agenti avrebbero omesso, a vario titolo, di attestare che la donna si identificava come moglie del dissidente-ricercato kazako Ablyazov pur conoscendone le sue generalità. Da qui tutte le altre ipotesi di reato. Questo per quanto riguarda le operazioni ‘fronte Italia’. Non meno opache, secondo i pm umbri, le procedure messe in atto dalle autorità di Astana per assicurare l’espatrio della donna e di sua figlia Alua. I lasciapassare forniti dalle autorità del Kazakistan, infatti, sarebbero stati realizzati apponendovi le foto tratte dal passaporto centrafricano della donna sequestrato. A sentire chi indaga, inoltre, due dei funzionari di polizia indagati avrebbero consegnato copia delle foto ad un addetto dell’ambasciata kazaka. Un pasticcio.
Su cui oggi la diretta interessata ha espresso il proprio parere: “Oggi ho fiducia nel sistema giudiziario italiano che sta cercando i responsabili e ringrazio la procura di Perugia che è stata molto autonoma e diligente nelle sue indagini – ha detto Shalabayeva – E’ stato fatto un lavoro molto serio per la ricerca della verità dietro il rapimento mio e della mia bambina”. Ma c’è di più. La moglie del dissidente Ablyazov ha commentato i recenti sviluppi dell’inchiesta: “Certamente le investigazioni hanno chiarito che le principali responsabilità per quello che è accaduto sono dei diplomatici kazaki che si trovavano in Italia – ha sottolineato la donna – Voglio ancora ringraziare pubblicamente Emma Bonino per i suoi sforzi cruciali fatti per ottenere il rilascio mio e di mia figlia dal regime kazako“.