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Lavoro, Poletti: piuttosto parliamo di docenti e meritocrazia

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Non c’ero. Non l’ho sentito di persona. Il che è stato un bene perché, anche se non è stagione, avrei rischiato di verificare le teorie associate al celebre articolo scientifico di George Perec “Experimental Demonstration of the Tomatotopic Organization in the Soprano. (Cantatrix sopranica L.)”, avvalendomi dell’assistenza involontaria dell’onorevole ministro Poletti.

La stampa riporta che il ministro Giuliano Poletti abbia dichiarato che “Prendere 110 e lode a 28 anni non serve a un fico, è meglio prendere 97 a 21. Così – ha aggiunto il ministro-  un giovane dimostra che in tre anni ha bruciato tutto e voleva arrivare”. Mentre nel nostro paese, ha spiegato Poletti, “abbiamo un problema gigantesco: il tempo. I nostri giovani arrivano al mercato del lavoro in gravissimo ritardo. Quasi tutti quelli che incontro mi dicono che si trovano a competere con ragazzi di altre nazioni che hanno sei anni meno di loro e fare la gara con chi ha sei anni di tempo in più diventa durissimo”.

Ministro, forse lei non ha capito che il giovane (quanto odio il termine “giovane”..) non ha bruciato proprio niente. Ha solo buttato via tre anni dimostrando un bel nulla di niente. Ministro, quelli che incontra dicono che si trovano a competere con ragazzi di altre nazioni che hanno sei anni meno di loro, le dicono anche che hanno una laurea con il massimo dei voti, la lode e il bacio accademico?

Non si tratta di prendere in tre anni una laurea con una votazione di 97 centesimi. Bisogna capire che se ci si iscrive all’università l’obiettivo è di conseguire la laurea con il massimo dei voti che si è in grado di prendere nel tempo richiesto, non un semestre in più, vivendo quei tre anni in apnea, studiando tutto il tempo necessario, investendo su se stessi. L’unica risorsa su cui si può contare. Se non rispetti la tabella di marcia sei fuori, non in parcheggio per un imprecisato numero di anni fino a che l’agognata laurea viene concessa per sfinimento del corpo docente.

Certo, avere un sistema universitario dove la regola sono i docenti strutturati a tempo pieno – oggi sono l’eccezione; basato su meritocrazia e selezione, su serietà e impegno; dove gli studenti sono seguiti e viene loro insegnato oltre a un sapere anche l’etica civile e professionale, di certo faciliterebbe le cose. Già, ma di questo signor ministro non ne ha parlato, vero?

Invece di chiedere scusa di avere ridotto il sistema educativo nazionale a una pelle di leopardo con poche macchie di eccellenza ancora alimentate dai pochi che non hanno gettato la spugna, si propongono umilianti soluzioni di compromesso.

Mi sorge un dubbio: ministro, stava consigliando gli studenti o i suoi colleghi della politica?